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Famiglie, paesini, errori e il Caso. Perché il virus ha colpito proprio la Lombardia?

Luciana Grosso

Lodi, Bergamo, Brescia. Indagine su una strana “maledizione”

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Milano. Abitudini sociali, prossimità, fiere agricole, e ovviamente una buona quantità di sfortuna. Anche se, lentamente, ci si comincia a interrogare su che cosa possa aver funzionato male nel sistema ospedaliero. Potrebbero essere queste le cause della tempesta perfetta che sta piegando la Lombardia, regione colpita più di tutte dal Covid-19; terra scintillante ma ora malata e, anche, umiliata. Sul perché il coronavirus abbia deciso di arrivare in Europa passando dalla porta della Lombardia, o meglio dalla porticina di paesini come Nembro, Alzano Lombardo, Orzinuovi, Codogno e Castiglione d’Adda, si fanno molte ipotesi, ci sarà molto da studiare ma ancora non c’è una risposta. Per ora si raccolgono indizi.

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Milano. Abitudini sociali, prossimità, fiere agricole, e ovviamente una buona quantità di sfortuna. Anche se, lentamente, ci si comincia a interrogare su che cosa possa aver funzionato male nel sistema ospedaliero. Potrebbero essere queste le cause della tempesta perfetta che sta piegando la Lombardia, regione colpita più di tutte dal Covid-19; terra scintillante ma ora malata e, anche, umiliata. Sul perché il coronavirus abbia deciso di arrivare in Europa passando dalla porta della Lombardia, o meglio dalla porticina di paesini come Nembro, Alzano Lombardo, Orzinuovi, Codogno e Castiglione d’Adda, si fanno molte ipotesi, ci sarà molto da studiare ma ancora non c’è una risposta. Per ora si raccolgono indizi.

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“Fondamentalmente è stato un caso”, ci dice, gettando la spugna ancor prima di cominciare, Giovanni Corrao, statistico medico della Bicocca: “Poteva succedere ovunque, Milano non è la sola città europea piena di scambi, Londra o Rotterdam hanno lo stesso flusso continuo di Milano. E Roma o Parigi hanno anche migliaia di turisti ogni giorno, da tutto il mondo, certo più quanti ne hanno Codogno o Bergamo”. Eppure l’epidemia ha fatto il nido lì e non altrove. Perché? Le teorie più accreditate (che però, va detto, sono piene di “se” e di “ma”) ipotizzano che il primo ingresso del virus in Europa si sia verificato in Germania, probabilmente da un asintomatico. E che poi da lì si sia diffuso, dando origine sia a casi asintomatici che a casi gravi che però sono stati scambiati per “brutte influenze” o per polmoniti, magari un po' più frequenti del solito: niente che abbia destato allarme nei medici o nei database che (se ci fossero e funzionassero come si deve) dovrebbero leggere i dati e metterli in relazione e che invece non trovavano niente da segnalare. Poi è successo (di nuovo un caso) che una anestesista di Codogno, di fronte alla polmonite tenace di un giovane uomo, sano e sportivo, abbia (parole sue) “pensato l’impensabile”. E fatto il tampone. Così è stato scoperto il primo caso in Italia. “Può essere che qui da noi i casi oltre che arrivare prima, si siano riconosciuti prima – riflette Carlo La Vecchia, epidemiologo della Statale di Milano – ma anche questo, è stato un caso. Certo forse abbiamo pagato il fatto che i primi casi si siano verificati in piccoli ospedali e non in grandi centri, lì forse qualcuno avrebbe verificato prima l’ipotesi Covid-19”. Ma anche questa è un’ipotesi, in parte smentita dal fatto che la malattia è stata scoperta, effettivamente, in un ospedale di campagna più che di provincia. Ma i dubbi sulle falle sanitarie iniziano a far riflettere, come sul caso di Alzano (raccontato ieri dalla Stampa), ospedale da cui potrebbe essersi diffusa una linea di contagio. E il numero dei medici e sanitari colpiti in Lombardia è allarmante. Ma occorre capire anche altre tre cose: perché la malattia si sta diffondendo qui così rapidamente; perché il contagio è più rapido nei piccoli centri (Castiglione d’Adda: 4.600 abitanti e 50 morti; Nembro: 11 mila abitanti, 90 morti; Orzinuovi: 12 mila abitanti e 30 morti) invece che nelle grandi città; e perché qui da noi, si muore così tanto.

 

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Sulle ragioni della diffusione si sprecano, di nuovo, le ipotesi: qualcuna assai generica, la partita dell’Atalanta che avrebbe concentrato a San Siro e in decine di bar di provincia migliaia di tifosi, ma non è l’unica partita che è stata giocata; qualcuna più specifica come due fiere agricole che avrebbero portato gli agricoltori dalla bassa lodigiana verso la bergamasca e il bresciano. Poi ci sono le ipotesi mediche, come la percentuale alta degli asintomatici, e secondo alcuni anche la troppa ospedalizzazione: in Lombardia è attorno al 70 per cento. Qualcuno parla della riduzione dei treni, effetto dell’incidente ferroviario di Lodi (guarda tu, la vita), che ha fatto ridurre il numero dei treni e stipato i molti pendolari in poche carrozze. Ma allo stesso tempo ha fatto viaggiare meno persone su Milano.

 

Una ipotesi la azzarda Marco Percoco, docente di Economia del territorio alla Bocconi: “Il tessuto sociale italiano e soprattutto lombardo ha una peculiarità che lo rende diverso da quello delle altre metropoli europee: qui abbiamo un grande centro urbano, circondato però da piccoli e piccolissimi centri rurali, nei quali l’età media è molto alta e la socialità molto diffusa. A questo si aggiunge la struttura familiare tipica italiana, nella quale si esce di casa molto tardi e spesso si vive a strettissimo contatto con parenti anziani. E’ molto comune che un ragazzo di una città come Bergamo o Lodi studi a Milano, ma continui a vivere a casa o faccia visite quotidiane ai nonni. Il giovane potrebbe cavarsela con un’influenza. I suoi contatti più anziani, no”. E perché i paesini e non (almeno per ora) le grandi città? “I piccoli paesi, come Castiglione d’Adda, sono luoghi relativamente chiusi, con molti anziani che non escono quasi mai dal perimetro familiare di casa, chiesa, negozietto e bar. La socialità qui è ancora molto alta: una condizione ottima e terribile per la diffusione del contagio” racconta Lorenzo Rinaldi, direttore del Cittadino, il giornale di Lodi che, per primo, ha parlato dell’epidemia. Anche a Bergamo, che pure è zona assai meno rurale del lodigiano, le cose non sono diverse: “Nembro e dintorni sono sede di grandi industrie, abbiamo numerosi scambi con la Cina e il resto del mondo, eppure, per quanto strano possa sembrare, ne abbiamo pochi con Milano. Il pendolarismo è relativamente poco diffuso, perché spesso si vive e si lavora nello stesso paesino che è sede di fabbriche e aziende” dice Bruno Benassi, giornalista che segue l’epidemia per l’Eco di Bergamo. Infine, la domanda peggiore: perché la mortalità è più alta qui che altrove? E’ ancora l’epidemiologo La Vecchia ad azzardare una risposta: “In Germania hanno un numero di casi che è il 40 per cento del nostro, ma un numero di morti che non è nemmeno paragonabile a quello italiano: 42 contro 3.400. La ragione, a mio parere, potrebbe essere che lì ci sono più strutture di cura di media intensità, che fanno da ponte tra il normale reparto e la terapia intensiva, che evitano che i pazienti arrivino a essere intubati con una situazione già compromessa. Le ragioni sono di nuovo molteplici, ma senza dubbio questa è una delle cause dell’elevata letalità in Italia”.

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