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“Siamo cambiati per sempre”, racconta il sindaco di Brescia Del Bono

Marianna Rizzini

“Ci servono misure più restrittive” per salvare le nostre città

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Roma. Sono giorni durissimi, a Brescia, la città che, dopo Bergamo, ha raggiunto ieri il primato triste di prima provincia al mondo per casi di contagio, e conta circa cinquecento deceduti dal 29 febbraio a oggi. “E’ il nostro 11 settembre”, dice il sindaco Emilio Del Bono, rieletto nel 2018 alla testa di una coalizione di centrosinistra, ed è un 11 settembre anche interiore. Non si torna indietro dalla sensazione di ribaltamento e scardinamento di un mondo: affetti, abitudini, mentalità, e lo dice, il sindaco, mentre parla anche a chi non abita a Brescia (e ragiona come Brescia ragionava fino alla fine del mese scorso): “Non ti puoi rendere conto davvero finché non ti cade addosso questa realtà”.

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Roma. Sono giorni durissimi, a Brescia, la città che, dopo Bergamo, ha raggiunto ieri il primato triste di prima provincia al mondo per casi di contagio, e conta circa cinquecento deceduti dal 29 febbraio a oggi. “E’ il nostro 11 settembre”, dice il sindaco Emilio Del Bono, rieletto nel 2018 alla testa di una coalizione di centrosinistra, ed è un 11 settembre anche interiore. Non si torna indietro dalla sensazione di ribaltamento e scardinamento di un mondo: affetti, abitudini, mentalità, e lo dice, il sindaco, mentre parla anche a chi non abita a Brescia (e ragiona come Brescia ragionava fino alla fine del mese scorso): “Non ti puoi rendere conto davvero finché non ti cade addosso questa realtà”.

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E la realtà, ora, è fatta “di numeri con cui non vorresti mai dover avere a che fare”, “di amici e parenti che stanno male, malissimo”, di ricoveri in terapia intensiva di cui ancora “non si scorge la parabola discendente”, dice Del Bono, che negli ultimi giorni ha visto il sistema sanitario della sua città arrivare sul limitare del collasso, e “solo grazie alla grandissima abnegazione di medici e infermieri”, racconta, “si è potuto andare avanti fino a oggi, ma il dolore è enorme, come enorme è la cifra dei decessi”. E mentre l’onda del contagio passa dal lodigiano e dal cremonese a Bergamo e a Brescia, come spostandosi su una scacchiera macabra, Del Bono, che all’inizio, come tutti, dice, non aveva contezza del male che si stava per abbattere sulla città, chiede al governo di prendere in considerazione “l’adozione di provvedimenti a velocità differenziata, specifici nelle zone più colpite” (Lodi, Bergamo, Brescia, Piacenza, il cremonese), passando attraverso “il coinvolgimento delle regioni”, con relativa responsabilizzazione dei centri di potere locale, “per evitare uno scaricabarile tra poteri locali e centrale che farebbe perdere altro tempo prezioso”.

 

Servono, dice Del Bono, che ha visto “medici e infermieri allo stremo delle forze”, e amici e concittadini “ammalarsi uno dopo l’altro a ritmi velocissimi”, disposizioni mirate, in modo da “ridurre nelle zone più sofferenti per l’epidemia le occasioni di concentrazione tra persone che vanno al lavoro e che non possono, neanche volendo, mantenere più di tanto le distanze: ci sono molte attività commerciali e industriali non legate alla produzione e distribuzione di beni indispensabili ancora aperte. Alcune aziende hanno deciso autonomamente la chiusura, ma c’è ancora troppa socialità. Poi ci sono i comportamenti individuali: nella stragrande maggioranza dei casi le persone rispettano i divieti, ma c’è ancora una parte minoritaria che si concede la partitella a basket o la corsa in compagnia. Nel resto del paese le restrizioni attuali possono essere sufficienti, ora, ma noi non possiamo più permetterci questo numero di contagi”. Dopo il picco locale di contagi e ricoveri (compresi molti medici di base), il sindaco Del Bono vorrebbe che fosse messo in piedi un ospedale da campo come quello previsto per Milano, e che arrivasse aiuto sul piano del personale ospedaliero (i medici e gli infermieri non bastano più).

 

Poi c’è il resto, quello che accade “quando in città e nei paesi limitrofi le persone vedono ovunque famiglie con ricoveri, decessi, parenti in terapia intensiva”. “Questa grande emergenza”, dice Del Bono, “cambierà per sempre la nostra antropologia, il nostro modo di pensare”. Di fronte a un medico “che lavora incessantemente dopo venti ore senza riposo o a un infermiere “che torna a casa e piange”, e di fronte “alle bare disposte nelle chiese”, dice Del Bono, “cambia per sempre la tua percezione. E soltanto se sei dovuto entrare in questa dimensione ti rendi conto davvero del profilo subdolo e della virulenza del Covid-19”. E mentre un’altra giornata di emergenza corre verso il bollettino pesante della sera, Del Bono rivolge il pensiero ai numeri che arriveranno tra una settimana: “Speriamo. E speriamo che la Leonessa si sollevi presto”.

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