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Il panico da coronavirus arriva fino alle carceri: i perché delle rivolte

Enrico Cicchetti

Le proteste dei detenuti dopo la sospensione dei colloqui con i familiari per l’emergenza Covid-19. Sei morti nel penitenziario di Modena, due agenti sequestrati a Pavia. Evasione a Foggia, fiamme dal San Vittore di Milano

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[Articolo aggiornato alle 14 del 9 marzo] Gli ospedali in prima linea. Le imprese e il settore produttivo che accusano il colpo. I musei, i cinema, la cultura in sofferenza per le conseguenze dell'espansione dei casi di coronavirus in Italia. Nei giorni scorsi l'emergenza sanitaria ha mostrato il suo impatto anche sul sistema penitenziario. Durante questo fine settimana la tensione è salita nelle carceri di tutta Italia: ieri pomeriggio, nella violenta rivolta del carcere di Modena, sei detenuti sono morti. Sono in corso indagini sull'accaduto e il Garante dei detenuti ha chiesto chiarezza. Nella casa circondariale di Torre del Gallo a Pavia alcuni detenuti hanno preso in ostaggio due agenti di polizia penitenziaria.
 

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[Articolo aggiornato alle 14 del 9 marzo] Gli ospedali in prima linea. Le imprese e il settore produttivo che accusano il colpo. I musei, i cinema, la cultura in sofferenza per le conseguenze dell'espansione dei casi di coronavirus in Italia. Nei giorni scorsi l'emergenza sanitaria ha mostrato il suo impatto anche sul sistema penitenziario. Durante questo fine settimana la tensione è salita nelle carceri di tutta Italia: ieri pomeriggio, nella violenta rivolta del carcere di Modena, sei detenuti sono morti. Sono in corso indagini sull'accaduto e il Garante dei detenuti ha chiesto chiarezza. Nella casa circondariale di Torre del Gallo a Pavia alcuni detenuti hanno preso in ostaggio due agenti di polizia penitenziaria.
 

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Foggia, i detenuti di due sezioni della struttura di via delle Casermette (circa 250-300 persone dei 630 soggetti ad oggi ristretti) hanno avviato una violenta protesta. Poco prima di mezzogiorno, il carcere era praticamente in mano ai detenuti, con la polizia penitenziaria in affanno per contenere la sommossa mentre all'esterno arrivavano decine di pattuglie di polizia e carabinieri in supporto. Un gruppo di detenuti è riuscito a raggiungere il muro di cinta della struttura tentando l'evasione di massa. Alcuni carcerati sono riusciti a darsi alla fuga. Dati non ufficiali, ma confermati da alcuni video che circolano sui social network, riferiscono di circa 30-40 persone in fuga; di questi, la maggior parte sarebbero stati già bloccati, mentre altri sono attivamente ricercati, anche con l'uso di un elicottero.

 

   

Guarda il video:   

   

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L'Associazione Antigone ha fatto sapere che sta preparando un appello video ai detenuti che sarà trasmesso dal Tg3. La televisione è l'unico modo di arrivare a loro 

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Le proteste erano iniziate sabato nel carcere di Fuorni, a Salerno, contro la sospensione dei colloqui prevista dalle misure anti-coronavirus. E' intervenuta la polizia in tenuta antisommossa, "un evento rarissimo nella storia della Repubblica", dicono al Foglio da Antigone, l'associazione che si occupa dei diritti dei detenuti. "Nel corso degli ultimi anni, quando ci sono state situazioni di tensione, sono sempre state risolte con risorse interne". Quando i telegiornali hanno trasmesso la notizia, le proteste si sono allargate ad altri istituti, a Napoli, Modena e Frosinone. "Liberi, liberi, amnistia!", hanno gridato i detenuti di Poggioreale, saliti sui muri del "passeggio" dell'istituto penale di Napoli mentre, fuori dal carcere, i parenti chiedevano gli arresti domiciliari per i loro familiari reclusi, bloccando il passaggio di auto e tram. Sembrerebbe, insomma, essere cominciata una "battitura" nazionale, con proteste anche a Reggio Emilia, Vercelli, Alessandria, Palermo, Foggia e Bari, dove alcuni reclusi hanno incendiato lenzuola e fazzoletti, lanciati fuori dalle sbarre delle finestre. Oggi (lunedì 9 marzo) le strutture in rivolta sono 27, da Genova al San Vittore, nel cuore di Milano, dal quale si levano fiamme e fumo, da Prato fino a Roma. Qui la battitura è iniziata nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, l'istituto più grande, quello con più criticità e sovraffollamento e con detenuti comuni. A Fuorni, per esempio, pare che il blocco di massima sicurezza si sia tirato fuori dalle proteste, guidate invece dai detenuti comuni. 

  

 

Le disposizioni prese dal governo nella notte tra sabato e domenica, per fronteggiare l'emergenza coronavirus, prevedono infatti la sospensione - salvo casi eccezionali - dei colloqui, per evitare di portare la malattia all'interno delle prigioni. Questa è stata la proverbiale goccia, ma da tempo montava anche la paura del contagio, che si è trasformata in rabbia. "Si sentono come topi in trappola", dicono da Antigone. "Ci sono detenuti con situazioni di salute incerta e tanti hanno paura di ammalarsi. Stiamo ricevendo una valanga di email dai parenti delle persone in carcere". Lettere di disperazione e richieste d'aiuto, come quella che la moglie di un detenuto di Taranto ha mandato alla onlus: "In cella sono sei o sette, ognuno di loro soffre di una patologia grave. Se il virus dovesse entrare lì dentro, con il sovraffollamento e la scarsa igiene, sarebbe un'epidemia".

 

 

Già dal 22 febbraio scorso, il ministero della Giustizia ha previsto una serie di misure specifiche per limitare i rischi di contagio: tende per il triage dei nuovi detenuti, blocco dei trasferimenti e divieto di accesso di persone provenienti dalle zone a rischio. Misure che riguardano sia il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che gestisce le oltre 190 carceri italiane, sia quello per la giustizia minorile e di comunità. Un bacino totale di più di 61 mila detenuti, cui si sommano decine di migliaia di lavoratori, oltre ai parenti in visita e ai volontari. Un mondo chiuso, dove l'infezione è ancora più preoccupante. In carcere si sviluppano più facilmente malattie e le si cura più difficilmente che all’esterno. Qui le malattie infettive si collocano al terzo posto per diffusione, dopo i disturbi psichici e quelli gastroenterologici. "Secondo uno studio dell’Ars della Toscana, una percentuale compresa tra il 60 e l’80 per cento della popolazione detenuta è affetta da almeno una patologia (anche non grave)", rileva un report dell'agosto scorso. "Il carcere è una specie di 'concentratore di malattie', per due motivi: da un lato perché chi vi entra spesso proviene da gruppi più socialmente vulnerabili, con uno stato di salute più degradato rispetto alla media", come i soggetti tossicodipendenti, "dall’altro perché è il carcere stesso a costituire un elemento patogeno, che favorisce l’insorgenza e la diffusione di malattie". Nel 2019, nella metà delle celle mancava l'acqua calda, spesso anche il riscaldamento. Sovraffollamento, scarsa prevenzione e scarse condizioni igieniche fanno il resto.

 

"Ci appelliamo ai detenuti perché non si lascino andare a proteste violente", dice il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. "Ma ci appelliamo anche a direttori e magistrati di sorveglianza perché concedano un numero maggiore di telefonate e aprano alle misure alternative alla detenzione per chi sta scontando una parte finale della propria pena. Il nuovo decreto legge del governo contiene, nella parte relativa alla gestione degli istituti penitenziari, l'apertura a delle misure che avevamo sollecitato nei giorni scorsi riguardante l'aumento della durata delle telefonate e l'incentivo ad adottare misure alternative e di detenzione domiciliare". Il dpcm emanato domenica dispone infatti di svolgere i colloqui in modalità telefonica o video. Una prima soluzione per alleggerire la crisi, può essere dunque quella di assicurare un contatto telefonico quotidiano dei detenuti con i propri famigliari. Inoltre sarebbe bene fare accedere alle misure alternative al carcere più gente possibile, tra chi sta scontando una parte finale della propria pena, come previsto dalla legge. "Gli strumenti normativi ci sono", ricorda Gonnella. "I direttori hanno come strumento sia il consiglio di disciplina che può proporre come premio l'accesso alla misura alternativa, sia gruppi di osservazione e trattamento allargato che possano proporre cumulativamente, per tutti i detenuti che hanno le caratteristiche per usufruirne, queste misure". Al contrario, il segretario nazionale dell’Associazione dirigenti e funzionari di polizia penitenziaria, Daniela Caputo, chiede "l'esercito intorno a tutti i muri di cinta, punizione severa di coloro che stanno fomentando le rivolte, interdizione di ogni accesso a esponenti o associazioni che in ragione delle loro campagne storiche di tutela e promozione dei diritti dei detenuti possano vedere la loro voce strumentalizzata dai violenti".

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