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Chi sono i nuovi "patrioti trumpiani" da pandemia

Paola Peduzzi

Dietro alle proteste in America c’è una guerra culturale e una domanda: il secondo picco sarà peggio del primo?

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Si litiga su ogni cosa, in America, tranne che sui soldi, o almeno meno del previsto. Gli assegni da 1.200 dollari del governo sono stati inviati ai cittadini – con la firma presidenziale, ma se si è fatta richiesta di bonifico la firma Donald Trump non si vede – più 500 dollari per ogni figlio, e così anche gli incentivi alle aziende (367 miliardi). Democratici e repubblicani si sono ieri accordati anche per un altro pacchetto di aiuti – 450 miliardi di dollari – per le piccole aziende e per aumentare la possibilità di fare test sierologici in tutto il paese (25 miliardi di dollari). La manovra coronavirus vale duemila miliardi ed è forse l’unica strategia che sta mostrando un minimo di unità istituzionale. Su tutto il resto è scontro, e l’arena in cui ci si colpisce è diventata la conferenza stampa che il presidente tiene tutti i giorni – l’unico comizio elettorale che quest’America in pandemia si sta concedendo. Da quel podio, Trump ogni giorno attacca qualcuno, a cominciare dai giornalisti presenti, che sono pochi e devono darsi i turni per via delle distanze di sicurezza. Ma come è noto, ogni cosa per Trump è politica, e quindi l’obiettivo sono certamente i media, ma soprattutto i democratici. In particolare i governatori democratici che, secondo Trump, si lamentano inutilmente dell’operato del governo, vorrebbero un potere che non gli spetta, hanno pretese assurde (tutti questi respiratori!), e non hanno idea del futuro.

 

La fase due è al centro dell’ultimo dibattito, che si è trasferito nelle strade grazie anche allo stesso Trump che chiede ai cittadini di “liberare” i propri stati, in particolare quelli a guida democratica. E mentre da Israele arrivano immagini molto simboliche delle proteste nell’epoca della pandemia – si contesta il governo Netanyahu a distanza di sicurezza, come simbolo ci sono le mascherine nere – in America si stanno creando, su mandato presidenziale, degli assembramenti pericolosi, ché tra armi e cartelli del tipo “non ubbidiamo alle regole” si sta tutti molto vicini.

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Secondo Trump le persone in piazza “amano la loro patria” e “vogliono tornare a lavorare”, sono i nuovi patrioti trumpiani da pandemia. Un’inchiesta del Washington Post ha rivelato che dietro a molte proteste – al momento le più dure sembrano essere quelle presso il palazzo della governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, che ha un’aggravante: non soltanto è democratica e lagnosa, ma è anche nella rosa delle possibili vicepresidenti di Joe Biden – ci sono gruppi Facebook legati alla alt-right. Per esempio, tre fratelli del Minnesota, i Dorr, che come attività primaria hanno quella di difendere il diritto a portare le armi (per loro la Nra, l’associazione nazionale, è troppo prona ai compromessi) e che ora sono diventati una centrale per ritrovare anche tutte le teorie complottiste sul virus.

 

L’incertezza della fase due fa da carburante a questo tipo di fenomeno, che al momento è piccino ma che potrebbe crescere assieme alla generale e fisiologica insofferenza nei confronti del lockdown. La guerra culturale in corso ha un fondamento molto forte, che va alle radici stesse dell’identità americana: armi e alt-right a parte, le proteste alle regole nascono dall’avversione nei confronti di uno stato troppo invasivo. E vale secondo alcuni anche se lo stato “invade” per salvare la vita ai cittadini.

 

Dall’altra parte delle barricate c’è l’istinto alla solidarietà, che è anche in questo momento l’unico antidoto efficace alla pandemia. Se tutti rispettano le regole, i contagi diminuiscono. Le due anime dello spirito americano per lo più convivono, e la solidarietà e il rispetto delle regole anzi sembrano avere, nei sondaggi, il sopravvento sul resto (sono tutti molti cauti sulla riapertura). Nessuno ha idea di cosa avverrà, e soprattutto nessuno ha la risposta alla domanda cruciale di queste settimane: il secondo picco sarà più devastante del primo? Nemmeno Trump ha la risposta, ma i compromessi e la collaborazione non fanno per lui: nel dubbio, incita alle proteste, perché il suo elettorato è quello che fin da subito è stato più insofferente nei confronti del coronavirus. Per Trump i veri amanti dell’America sono quelli che si ribellano: se qualcosa andrà storto, tanto la colpa sarà dei governatori democratici.

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