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contro

Bibbiano, mostri o abuso d'ufficio?

Maurizio Crippa

Perché l’oscena narrazione che ha coinvolto il comune emiliano – tutta nella mente perversa di teorici di un inferno familiare che non esiste e di giustizialisti da quattro soldi – si riduce a un sulfureo reato di scartoffie

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Chissà se il buon Renato Brunetta riuscirà a rottamare l’abuso d’ufficio (“è un reato che vorrei abolire”, ha detto sfogliando la margherita), adesso che persino Roberto Fico, della banda di quelli che volevano abolire ogni abuso, ha promesso ai sindaci di rivedere il farraginoso reato. Ma chissà, soprattutto, se farà in tempo a giovarsene il sindaco di Bibbiano (vedi alla voce “il partito di Bibbiano”), Andrea Carletti, rinviato a giudizio, appunto, per abuso d’ufficio. Giovedì, a essere condannato a quattro anni (sentenza di rito abbreviato) è stato Claudio Foti, lo psicoterapeuta infantile del noto studio Hansel & Gretel, guru di sistemi di indagine e cura che non a tutti paiono ortodossi. Colpevole di lesioni gravissime (a una ragazzina la cui psiche avrebbe manipolato) e, appunto, di “abuso d’ufficio”. C’è qualcosa di bizzarro, in questa vicenda che dovrebbe essere di sulfurei abusi sui minori ma si risolve in abusi d’ufficio: è un po’ come processare il mostro di Firenze per divieto di sosta.

Era la prima ricaduta in tribunale di un’inchiesta su presunti mostri – in cui il vero mostro è l’inchiesta stessa, a partire dal nome, “Angeli e demoni”, una scemenza acchiappacitrulli che d’ora in poi la legge vieterà – quella sui bambini e adolescenti sottratti alle famiglie in quel di Bibbiano, in base alle perizie forzate dello psicoterapeuta Foti (le lesioni gravissime riguardano una ragazzina, che Foti avrebbe sottoposto a sedute “con modalità suggestive”, ingenerando in lei la convinzione di essere stata abusata dal padre, il tutto “in totale violazione dei protocolli di riferimento”). Ora il processo ordinario continuerà, oltre che per il sindaco, per altri 16 imputati e per ben  97 capi d’accusa. Fra cui, nell’ordine: peculato d’uso, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggi, falso ideologico, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Per qualcuno spuntano pure, un po’ defilati, i maltrattamenti, la violenza privata e le lesioni dolose.

L’aspetto grottesco, in una indagine da tragedia e dopo una mortificazione durata anni, è l’evidente prevalenza del generico “reato di scartoffie”. Come se alla fine non ci fosse niente di più importante, in una storiaccia macinata dai media in modo nauseabondo. Mentre invece l’unica cosa importante è che ci sono famiglie, figli e figlie, che hanno subìto una violenza grave. Esattamente come era stato nel furibondo caso della caccia alle streghe di Rignano Flaminio (chi era uno dei consulenti d’accusa? Foti), o come nel tremendo caso, costato vite umane, dei “diavoli della Bassa” e in altri ancora. Sempre con le stesse accuse, sempre con lo stesso metodo di manipolazione della coscienza di minori. Claudio Foti, adesso, fanno tutti finta di non conoscerlo. Eppure i suoi metodi, già troppe volte finiti impigliati in deliri di questo tipo, sono gli stessi utilizzati dal famoso e onnipresente Cismai, il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, basati sulla convinzione (scientifica? Ideologica?) che l’abuso sessuale sui minori sia un “fenomeno diffuso” e “sommerso” e che vada fatto emergere dai minori, perché sono gli unici che non mentono. Il risultato è ancora una volta sotto gli occhi: 13 minori sono stati appena restituiti alle famiglie perché nessuno dei “ricordi scovati” delle streghe di Hansel & Gretel aveva fondamento.

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Ma non è tutto qui. Attorno al caso di Bibbiano si scatenò una lurida campagna alimentata dai partiti populisti, Cinque stelle e Lega: “Parlateci di Bibbiano” e bambini (falsi) esposti come alla fiera. Come mai tanto insistere? Semplice: il tema bambini violati attecchisce facilmente, soprattutto nelle zone sociali più permeabili al sospetto giustizialista (che comprendono anche settori pedagogicamente avvertiti) perché è maledettamente incistato nella mentalità sociale. Quella per cui l’abuso sessuale in famiglia (che pure esiste, lo sappiamo) è semplicemente “normale”. Pensiamo male degli adulti, dunque facciamo male ai bambini. Ma invece di metterci davanti a questa malignità perversa, invece di processare questo cattivo pensiero, stiamo a baloccarci con l’abuso di ufficio.

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