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La beffa dei boss non c’era

Maurizio Crippa

La giustizia in Italia è il garbuglio che sappiamo, ma continuare ad amministrarla sulla base di scandali inesistenti è una colpa grave

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Ventidue detenuti del carcere di Opera saranno processati per la rivolta scoppiata il 9 marzo e determinata dal timore per i contagi Covid, in luoghi che non sono certo gli alberghi di cui parlano i manettari. Difficile dire se sia proprio giusto, bisognerebbe prima calarsi nei loro panni, ma è giusto indubitabilmente: non ci si ribella contro i poteri dello stato. Poi ieri Repubblica, che aveva menato una campagna giustizialista, su numeri rivelatisi farlocchi, per i “boss” da 41 bis tornati a casa con la scusa del virus – non erano 376, e la gran parte ne aveva diritto – è tornata sul tema: “La beffa dei boss mafiosi scarcerati per il virus. La metà è ancora a casa”.

 

Era andata a finire, in maggio, che il ministro Bonafede aveva decretato, tra un pasticcio e l’altro, sul loro rientro in cella appena possibile. Ma la stessa Rep. che parla di “beffa” deve ammettere che 111 detenuti sono rientrati. Sugli altri stanno vagliando i magistrati. Rep è anche costretta a scrivere: “La prima novità che balza all’evidenza è nel numero dei 223 scarcerati”, mentre invece Bonafede “aveva parlato di 498”. Poi si è scoperto, al ministero e a Rep., che 102 scarcerati erano sottoposti a misura cautelare, e 275 erano ai domiciliari “per cause diverse e indipendenti dalla pandemia”. La giustizia penale italiana è il garbuglio che sappiamo, ma continuare ad amministrarla, e a raccontarla, in base a scandali emergenziali che non sono tali, è una colpa grave.

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