Austin Butler (Ansa)

A Beverly Hills

Quel che resta dei Golden Globe 2023

Mariarosa Mancuso

A guardare i premi, i giurati al perbenismo woke hanno preferito il cinema (dopo l'edizione senza le telecamere dell'anno scorso). Una rassegna della cerimonia e dei riconoscimenti

"Sono qui perché sono nero”. Jerrod Carmichael, maestro di cerimonie ai Golden Globe 2023, è andato subito al punto. “Non voglio dire che siano razzisti, ma non c’era un solo nero nella Foreign Press Association a Hollywood fino alla morte di George Floyd, tirate voi le conclusioni”. Più chiaro non poteva essere, e i presenti sembravano aver capito il messaggio, dopo l’edizione semiclandestina dell’anno scorso, senza le telecamere della Nbc. Gente più disponibile della mamma di Carmichael medesimo, che nel suo monologo “Rothaniel” su Hbo racconta di aver fatto coming out tardi, a 30 anni (è nato nel 1987). Da allora sua madre continua a comportarsi come se nulla sapesse, né della gaytude, né del fidanzato bianco (“my vanilla king”).

 

Pagato il pegno (“ora la Fpa ha sei soci neri”), più mezzo milione di dollari a Jerrod Carmichael – dopo aver cercato di convincerlo che la questione era etica e non venale – tutto quel che i votanti sono riusciti a tirare fuori è stato “Abbott Elementary”. Showrunner e protagonista Quinta Brunson (Golden Globe come sceneggiatrice e attrice) la serie vincitrice nella sezione commedia è un prodotto Abc, tv generalista che per una volta ha battuto le sofisticate piattaforme streaming. In Italia la trovate su Disney+, è un mockumentary – o finto documentario – che racconta una scuola elementare alla periferia di Filadelfia, con insegnanti appassionati, la preside che gioca sempre contro, e budget sempre più striminziti.

 

Mollata la scuoletta, le buone intenzioni, la spassosa insegnante di origine italiana, nella sezione cinema drammatico “The Fabelmans” di Steven Spielberg ha vinto un Golden Globe per la regia e uno per il film (già in sala, scattare per il recupero). Nella sezione “commedia o musical” ha vinto 3 Golden Globe “Gli spiriti dell’isola”, titolo italiano che rende irriconoscibile “The Banshees of Inisherin” (chissà perché una rock band può chiamarsi “Siouxsie and the Banshees”, e qui le streghe irlandesi devono diventare spiriti generici, per giunta asessuati). Strepitoso, uscirà in sala il 2 febbraio, segnatevi la data così non li dovete sempre rincorrere. Miglior film, migliore sceneggiatura per Martin McDonagh (la bravura si era vista in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”), miglior attore in commedia Colin Farrell, che aveva già vinto la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia. Chissà perché mai nessuno si accorge di Brendan Gleason, che è altrettanto bravo (e battibeccano tutto il tempo: mica sarà perché lo avete catalogato come “cattivo”?).

 

Irlandesi negli “Spiriti dell’isola”, famiglia ebrea in “The Fabelmans” con il ragazzino che vuole fare cinema e dirige filmini casalinghi. Justin Hurwitz ha vinto per la colonna sonora di “Babylon”, diretto da Damien Chazelle, un altro che da piccolo voleva fare il cinema. Anzi, il musical. Anzi: gareggiare con i grandi classici che il cinema lo raccontano, per esempio “Cantando sotto la pioggia”. 

 

Il bravissimo Austin Butler che era “Elvis”, diretto da Baz Luhrmann, altro campione di cinema spettacolo. Ha vinto come migliore attore protagonista in un musical. Accertato che “Gli spiriti dell’isola” è un film di soli e irrimediabili maschi, se ne ricava che i giurati al perbenismo woke hanno preferito il cinema.

Di più su questi argomenti: