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Il non finale

Woody Allen dà l'addio al cinema. E aggiunge un colpo di scena

Mariarosa Mancuso

Tutto ieri si è fantasticato su “Wasp 22”: quello che sarebbe dovuto essere l'ultimo film del regista. Come i migliori ha annunciato il ritiro di colpo e in ottima forma, ma, dopo poco, ha smentito tutto

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I migliori smettono di colpo, lucidi e ancora in ottima forma (parliamo di arte, non di artrite). Georges Simenon andò all’ufficio competente e chiese di cancellare dal passaporto la professione: non più “scrittore” ma “pensionato”. Philip Roth lo annunciò in un’intervista su Inrockuptibles: era stufo di passare la giornata a scrivere frasi, girarle, rigirarle, andare a pranzo, tornare alla scrivania e cancellare tutto.

 

Woody Allen – di anni 86 – lo ha detto l’altro giorno, a un giornalista di La Vanguardia. “Tra poco comincerò a girare il mio ultimo film ‘Wasp 22’, a Parigi e in francese. Poi magari scriverò un romanzo, ma con i set ho chiuso”. Si è concesso un risvolto alla Gloria Swanson: “Il cinema è diventato piccolo, a me piacevano le sale con 500 persone”. Magari a New York, non solo in Europa: in patria “Un giorno di pioggia a New York” e “Rifkin’s Festival” non hanno avuto vita facile, mentre circola impunemente la versione di Mia Farrow spacciata per documentario, “Allen v. Farrow”. Miracolo che Amazon Prime non abbia tolto dalla circolazione “Crisis in Six Scenes”.

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I migliori smettono di colpo quando hanno ancora la testa per farlo. E si godono le nostre reazioni: quasi come assistere al proprio funerale. Noi dolenti, praticamente orfani, non riusciamo a calcolare davvero quanto Woody Allen (o uno degli altri rinunciatari prima di lui) abbia fatto per allietarci la vita. Film, libri, battute (fu il suo primo mestiere, non ancora maggiorenne e guadagnava più dei genitori), e perfino un piccolo morso alla mano che lo nutre. “Hollywood Ending” (“finale hollywoodiano” o lieto fine, pronunciare con disprezzo cinefilo parigino) racconta un regista che diventa cieco. Cecità isterica, quindi reversibile. Non lo dice a nessuno, e dirige senza vedere nulla un film scombinato che sarà fischiato negli Usa, poi acclamato in Francia come un capolavoro. 

 

Woody Allen era un regista che girava un film all’anno, 50 in 57 anni di carriera. Quando Netflix non riversava ceste di “contenuti” sulle nostre serate, sapere che sarebbe arrivato un nuovo film di Woody Allen era una bella sicurezza. Anche quando i film non erano perfetti. Ogni tanto capita un “Melinda e Melinda” (la stessa storia una volta tragica e una volta comica). Non può sempre essere “Manhattan”, dove il protagonista tenta di metter sotto con la macchina la ex moglie Meryl Streep e la sua nuova fidanzata “sentivo che vi stavate innamorando”. Ogni tanto capita un “To Rome with Love”. Non può sempre essere la meraviglia di “Broadway Danny Rose”, l’impresario sfigato che ha tra i suoi clienti lo strozza-palloni (onde farne conigli, bassotti e altri animali). O “Match Point”. O “Pallottole su Broadway”. Ognuno ha i suoi prediletti, e non è il momento di litigare.

 

Di “Wasp 22” non si sa quasi niente, noi però abbiamo le nostre fantasie. Potrebbe essere il seguito di “Un giorno di pioggia a New York”, leggendo “wasp” come “white anglo-saxon protestant” e 22 come l’anno corrente. Timothée Chalamet – poi si è detto pentito di aver lavorato con Woody, sciocchezza da moccioso di cui farebbe meglio a pentirsi – va a una cena di gala organizzata dai genitori. Tipologia: “Gente senza futuro che legge libri fuori catalogo”. Perde la fidanzata per strada (lei non resiste a una sveltina con un divo del cinema, “non vedo l’ora di raccontarlo ai nipotini”) e si presenta con una escort.

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La mamma è furiosa, convoca il figlio e arriva il colpo di scena. Anche lei ai suoi tempi lavorava come escort, così aveva conosciuto il marito con cui adesso riceve la buona società. È l’ultima arrivata, e più accanita custode di una tradizione che conosce solo per sentito dire. Assieme a “sarà bello raccontarlo ai nipotini” è la risposta di Woody Allen a tutte le critiche e insinuazioni su di lui, al #MeToo riunito e inferocito, a tutti gli smemorati che dimenticano l’essenziale: nessun tribunale lo ha condannato, la presunta molestia era un capitolo dell’inferocita separazione.

 

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La escort che diventa signora aristocratica somiglia al gangster che in “Pallottole su Broadway” dovrebbe guardare le spalle alla pupa del capo. Invece sa di scrittura e recitazione più degli attori e del regista (“nessun gangster parla così”, si lamenta leggendo i dialoghi della sceneggiatura). Somiglia alle ragazze squillo che in “Tutto può accadere a Broadway” di Peter Bogdanovich ricevono dal cliente affezionato Owen Wilson 30 mila dollari per cambiare vita. Assieme alla ricetta per la felicità: “A Central Park tutti danno noccioline agli scoiattoli, ma se uno volesse dare scoiattoli alle noccioline che ci sarebbe di male?”.

 

Colpo di scena. Dopo una serie di articoli commossi, Woody Allen dice a Variety che non è vero niente. “Wasp 22” non sarà il suo film d’addio. Non sta neppure scrivendo un romanzo. Incomprensioni con lo spagnolo? Siccome a esser maligni spesso si indovina, forse davvero stava provando l’effetto che fa un ritiro annunciato a bruciapelo. Constatato l’affetto dei suoi cari – tutti quanti noi, già in gramaglie – ha deciso di non risparmiare sui film a venire. 

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