Foto di Ettore Ferrari, via Ansa 

Venezia 2022

Alla Mostra del cinema di Venezia non è il solito giorno della marmotta

Mariarosa Mancuso

Ricomincia il festival, ma quest'anno si presentano inconvienienti già dalle prenotazioni. La sfida del direttore Alberto Barbera è convincere gli italiani a tornare nelle sale

Il giorno della marmotta – così appare la vigilia dei festival a chi ne frequenta tanti – quest’anno non è il solito giorno della marmotta. Il sistema di prenotazione dei posti (rimasto dopo l’èra Covid, evita gli assembramenti) ha cominciato a fare i capricci la scorsa domenica, e non ha smesso. Sparisce, per esempio, “The Kiev Trial” di Sergej Loznitsa – il processo per crimini di guerra nazisti nel gennaio 1946, noto come la Norimberga di Kyiv. Non può essere tutto esaurito, in una sala da 2.000 posti.

 

“The Kiev Trial” non compare tra i film prenotatili – e anche i prenotabili sono una corsa a ostacoli. La scritta che dice “il tuo turno arriverà tra 48 minuti” già irrita, a vedere l’omino che marcia verso la meta sembra di stare all’asilo. Poi tutto si blocca e l’omino resta impalato. Domanda: perché hanno cambiato la ditta fornitrice? Negli ultimi due anni sceglievamo perfino il posto vicino agli amici, fila tredici posto cinque come nella battaglia navale.

 

Non è il solito giorno della marmotta. È l’edizione della Mostra di Venezia numero 79, ma si festeggiano i 90 anni dalla fondazione (gli anni sono sfasati per colpa della guerra, che favorì nel 1946 la nascita del Festival di Locarno). È la mostra di Venezia diretta da Alberto Barbera, il direttore che l’ha rilanciata dopo momenti poco felici, facendone un trampolino di lancio per gli Oscar. L’anno magico fu il 2013, con “Gravity”: piccolo film di Alfonso Cuarón (piccolo anche se si vede lo spazio profondo, gli effetti speciali erano più furbi che costosi, e benissimo inseriti nella trama). Da allora i successi si sono accumulati, fino al Leone d’oro con incassi e pubblico di “Joker”. Mentre Cannes cominciava a declinare verso “Titane”, post-umano che mette in fuga gli spettatori.

 

Non era stata da giorno della marmotta neanche la conferenza stampa, quando il direttore Alberto Barbera disse senza mezzi termini che il cinema italiano ha sicuramente un grande passato, ma non è attrezzato per le sfide di questi anni e di quelli che verranno. In sintesi: mancanza di visione, scarsa accuratezza produttiva, i soldi ci sono ma si spendono male. 
Abbiamo fatto il riassunto, per amor di chiarezza. E perché da anni pensiamo le stesse cose del cinema italiano. Sembra che nessuno mai rilegga i copioni, prima di metterli in produzione, e osservi: “Guarda che quel personaggio è banale, senza spessore, a chi vuoi che interessi, hanno Netflix in casa! E non ti sei accorto che camicia e pantaloni sono scelti a caso, quel tipo umano mai si vestirebbe cosi?”.

 

Al volgere dei 90 anni, la Mostra di Venezia deve caricarsi sulle spalle un’altra missione impossibile. Riportare il pubblico italiano nelle sale. Il grande pubblico dei grandi incassi, quello finora sbeffeggiato perché non apprezzava le punte più acute dell’Arte. Il pubblico tenuto lontano dal Covid e dalle piattaforme, ma anche da decine e decine di film, italiani soprattutto, osannati come capolavori. Il pubblico che poi all’orecchio ti sussurra: “Perché scrivono tutti bene di quel film che è così brutto?”.

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