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Tra retrospettive e registi sempre gli stessi, i prossimi festival sanno di déjà vu

Mariarosa Mancuso

Locarno annuncia per l’edizione 2022 una retrospettiva di Douglas Sirk, sommo regista di melodrammi. A Cannes si è più volte rimproverato di invitare sempre il gruppetto dei soliti noti, e ora anche alla Berlinale: su 18 registi in gara 12 sono già stati al festival. Tra cui Paolo Taviani, anni novantuno

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Il festival di Locarno annuncia per l’edizione 2022 una retrospettiva di Douglas Sirk, sommo regista di melodrammi e il primo pensiero che viene in testa è “quante volte, figliolo?”. Si sa che il primo pensiero è il più maligno: una riguardata ai film del tedesco che si fece americano offre piaceri sconosciuti allo spettatore convinto che il cinema sia cominciato con “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino. Sta di fatto che regala alla prossima edizione del festival un’impressione di déjà vu. Affiancata alla certezza che oggi in un concorso festivaliero “Magnifica ossessione”, “Lo specchio della vita” o “Come le foglie al vento” non avrebbero spazio.

Per controprova, guardiamo i film in concorso alla Berlinale (l’edizione 2022 si terrà dal 10 al 20 febbraio prossimo). In presenza, anche se i festival di Sundance e Rotterdam hanno scelto più prudentemente di svolgersi online. Ci saranno due titoli ambientati durante la pandemia, Claire Denis con “Both Sides of The Blade” e Hong Sang-soo con “The Novelist’s Film”. Nei film di Douglas Sirk ci sono passioni e tragedie senza tempo, cecità e ossessioni amorose. Niente di astratto come “The Line” di Ursula Meier: uno dei personaggi traccia una linea intorno alla casa, da non oltrepassare per nessun motivo. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori, libertà di metafora per tutti.

Claire Denis e Ursula Meier sono due tra le sette donne registe in concorso, su 18 film. Ormai i festival ci tengono, come tenevano una volta alla diversificazione geografica (un film del Bhutan! un film del Burkina Faso!). Al festival di Cannes si è più volte rimproverato di invitare anno dopo anno il gruppetto dei soliti noti, e ora sta succedendo anche alla Berlinale: su 18 registi in gara 12 sono già stati al festival, vincendo premi.

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Paolo Taviani (di anni 91) torna dopo l’Orso d’oro vinto dieci anni fa assieme al fratello Vittorio con “Cesare deve morire”. “Leonora addio” non è esattamente un film alla Douglas Sirk, sa più di liceo classico, eterna ossessione italiana. Racconta i tre funerali di Luigi Pirandello, e la tardiva sepoltura delle ceneri, quindici anni dopo la morte. La storia si intreccia con l’omicidio di un giovanotto siciliano immigrato a Brooklyn (mafia? Altra ossessione italiana). Chiude il pacchetto regalo l’ultimo racconto, scritto poco prima di morire (la morte è ossessione di tutti, ma siamo sicuri che qui verrà trattata con il massimo della retorica).

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Ora depositiamo questo pezzo dal notaio, e una volta visto “Leonora addio” vedremo se la recensione preventiva ha funzionato (l’esperienza di centinaia e centinaia di film dovrà pur servire a qualcosa). Noi avremmo un debole per l’austriaco Ulrich Seidl, titolo del film “Rimini”. Ma neanche lui somiglia a Douglas Sirk.

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