Thierry Fremaux e Pierre Lescure (foto LaPresse)

Lo spettro di Cannes si aggira tra i festival estivi tra ripicche e presunte furberie

Mariarosa Mancuso

Presentata la selezioni ufficiale, tra cani da tartufo e misteri

Uno spettro si aggira tra i festival estivi e autunnali. Il fantasma di Cannes 2020, presentato giovedì dal direttore Thierry Frémaux in una surreale conferenza stampa (non tanto per dire: lo era davvero, non riusciamo a staccare gli occhi). Uno dopo l’altro, ha snocciolato e commentato i titoli della selezione ufficiale davanti a una sala vuota. Alla sua sinistra, il presidente del festival Pierre Lescure in funzione di spalla.

  

“Di solito a questo punto mi chiedono come mai non ci sono film italiani”, ha detto Frémaux. “Faccio io la domanda”, ha detto Lescure (che certo non ha in cima ai suoi pensieri la sorte dei film italiani). Pronta risposta: “Abbiamo ‘Les Chasseurs de truffe’ di Michael Dweck e Gregory Kershaw”. Leggi: un documentario americano sui cercatori di tartufi, nei dintorni di Alba.

 

 

Non era la risposta attesa da chi guardava in streaming lo spettacolo di un direttore che, orbato del suo Festival, cercava di ricostruirlo inventandosi il bollino Cannes. Una selezione di film che verranno proiettati a Toronto o San Sebastián, oppure usciranno direttamente in sala, corredati con la palmetta-marchio-di-qualità. Non alla Mostra di Venezia, con cui devono esserci state “divergenze creative” (è la formula classica dei divorzi cinematografici, come la “crudeltà mentale” nei matrimoni degli anni 50).

 

I sovranisti – vivi e scalcianti ai festival molto prima che in piazza – sostengono trattarsi di un’astuta strategia per sottrarre film alla Mostra di Venezia (furberia già sgamata da chi mangia pane e volpe tutti i giorni e non crede ai vaccini, figuriamoci alla concorrenza). Insomma, pezzo toccato non si potrà più giocare. I festival tengono all’esclusiva, e se dovesse uno di questi film vincere l’Oscar chi si prenderà il merito? Detto tra parentesi: ancora non sappiamo come sarà la Venezia light, con film proiettati – dicono i bene informati o le malelingue, non è chiara la differenza – per “un gruppo ristretto di critici”. Brivido, chissà cosa servirà per essere ammessi al prestigioso consesso? Giurare fedeltà oppure solo lavarsi le mani, e presentarsi con taccuino e penna disinfettati?

 

 

Non erano i cani da tartufo la risposta attesa. Tutti, non solo gli italiani – passata la pandemia non è che ora torniamo strapaese? – avrebbero voluto sapere perché tra i 56 film bollinati non era stato menzionato “Tre piani” di Nanni Moretti (tratto dal romanzo di Eshkol Nevo). Eppure risultava “visto e piaciuto”. E il regista il suo invito a Cannes l’ha sempre avuto, già prima di mettere piede sul set.

 

Andrà a Venezia, dice qualcuno. Aspetterà Cannes 2021, dice qualcun altro. Terza ipotesi: andrà direttamente in sala (non sono solo i virologi a dissentire). Gli altri 55 film – siccome non si fa davvero sul serio, sono castelli in aria – rispettano quote e permalosità. 16 registe, record assoluto. Animazione e commedie. Una valanga di francesi. Poi i neri: Steve McQueen ha in lista due titoli, e li ha già dedicati a George Floyd. Spike Lee, presidente della giuria fantasma, tornerà (si spera) nel 2021.

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