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Natale, il senso della nascita

Consumiamo rassegnati la quotidiana razione di tragedie, pubbliche e private. Il Natale ci impone almeno una pausa

Angelo Scola

La rimozione del senso della nascita sta portando al progressivo e talora indebito allargamento dei cosiddetti “diritti soggettivi”, che sarebbe meglio in ogni caso chiamare esplicitamente “diritti del soggetto”.

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Gelo demografico. Un’espressione che si va insinuando, quasi sorniona, nello stanco nord occidente opulento. Aleggia, ma non è consapevolmente assunta. Come se non ci riguardasse. Invece è il clamoroso sintomo della perdita del senso e del valore della nascita, della perdita della bellezza del figlio – che si concentra più che mai nell’infante –, della perdita del valore della famiglia come ambito conveniente per amare, per lavorare, per riposare, della perdita del gusto per la vita associata e operosa nella Chiesa e nella società civile.

  

Non basta però rilevare questi fatti per spiegare un dato che tutti annunciano come minaccia per il nostro futuro. Bisogna domandarsi quali sono le cause che lo provocano. Non si possono ridurre alla mancanza di politiche familiari accorte. Anche se a questo riguardo l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa: la Germania, i Paesi Bassi e perfino la laicissima Francia ci precedono di molte posizioni. Ben di più, la crescente erosione del tasso di natalità manifesta una clamorosa mancanza di senso del futuro. Una società che perde questa prospettiva rinuncia alla possibilità di una vita buona. Senza di essa è assai difficile per l’uomo vivere un’esistenza pacifica, se non altro per l’ergersi della morte, irrevocabile obiezione alla vita stessa.

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Un sintomo preoccupante è proprio la sottovalutazione da parte dei singoli e delle istituzioni della gravità di questa situazione. A ben vedere la celebre affermazione di Karl Marx, secondo cui la prole è l’unica ricchezza del proletariato non è del tutto superata. Non la si può certo assimilare a quella delle classi sociali più sfruttate del XIX secolo. E tuttavia, nell’odierna società complessa va estesa a tutte le classi sociali. 

 
Anche in esse, quindi, i figli, lungi dall’essere una condanna, si rivelano come una risorsa a tutti i livelli. La rimozione del senso della nascita sta portando al progressivo e talora indebito allargamento dei cosiddetti “diritti soggettivi”, che sarebbe meglio in ogni caso chiamare esplicitamente “diritti del soggetto”. Parlare di diritti del soggetto fa riferimento a una grande opportunità della vita associata, a condizione che con questa espressione non si contrabbandino realtà che non sono affatto diritti. In tal caso infatti, anziché promuovere, soprattutto in una società plurale, i diritti, si accelera quel processo di individualismo che è stato ben caratterizzato dal fenomeno della secolarizzazione (Charles Taylor). Senza negare l’insuperabile importanza del singolo individuo, questo trend genera nichilismo. Onestamente si può togliere la cancel culture da un orizzonte nichilista? L’individuo perde il suo volto personale e il legame sociale si smarrisce, riducendosi spesso a feroci dialettiche tra gruppi che, speriamo, non ci conducano a fenomeni inediti di violenza sociale, fino al conflitto militare globale. La guerra tra Russia e Ucraina, che ha già fatto decine di migliaia di morti, potrebbe esserne il detonatore. Mai l’uomo ha rinunciato a usare quel che produce. Penso qui alla bomba atomica.

  

Senza sosta i mass media ci propinano la nostra quotidiana razione di tragedie, pubbliche e private. E noi, come risucchiati in un feroce tritacarne, le consumiamo quasi in silenzio, rassegnati e distratti. L’abitudine, che serpeggia sempre nella nostra esistenza, avvelena la vita spegnendola pian piano. Più di cent’anni fa un poeta, come vigile sentinella, aveva suonato l’allarme: “C’è qualcosa di peggio di avere un’anima cattiva. E’ avere un’anima bell’e fatta. C’è qualcosa di peggio anche dell’avere un’anima perversa. E’ avere un’anima abituata” (Charles Péguy). 

  
Eppure noi anche quest’anno come duemila anni fa i pastori, sfiniti dal sonno e dalla fatica, veniamo scossi da una Notizia tanto inaudita quanto attesa dal profondo del cuore di ognuno: “Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore” (Vangelo di Luca). 

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La nascita di Gesù, il Natale con la maiuscola, comunque sia inteso e fino a raggiungere la sua rimozione – si parla di feste, termine politicamente corretto – ci impone almeno una pausa. In essa può venire di nuovo alla luce il senso della nascita: accoglienza, abbraccio, festa, allargamento di orizzonti, esperienza dell’essere voluti. Nascita: un gratuito surplus di amore nell’unione feconda tra l’uomo e la donna, da sempre radicato nell’amore di Dio creatore. Egli ci vuole, a uno a uno e tutti insieme. Lui stesso ha voluto passare per questa straordinaria donazione e lo ha fatto in modo singolare, verginale. Tale è il suo amore per noi. E la dimora di Dio con gli uomini è per sempre. 

 
Gioia e speranza del Natale.

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