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Il problema non è la messa di mezzanotte. È molto più serio

L'Unione europea propone di vietare gli "assembramenti" religiosi la notte di Natale. In gioco, come ha detto il Consiglio di stato francese, c'è la libertà di culto

Matteo Matzuzzi

Bruxelles suggerisce nelle sue linee-guida di sostituire le messe con "appuntamenti online, in tv o alla radio". Il Papa, a Pasqua, aveva già detto tutto quel che c'era da dire: "Si rischia di viralizzare la Chiesa"

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Privati quest’anno delle puntuali polemiche sui presepi vietati da qualche amministrazione pubblica e delle zelanti maestre d’asilo che fanno cantare ai bambini inni in onore di Perù invece di Gesù per non turbare chi in Gesù non crede – almeno tali maestre di questo sono convinte – il caos natalizio è tutto sulle messe. Vietate dal coprifuoco, anticipate dai decreti del presidente del Consiglio, sconsigliate dall’Unione europea. Sulle lezioni di catechismo del premier Giuseppe Conte riguardanti la Natività, gli altolà del ministro Roberto Speranza – “il coprifuoco vale anche per le messe” – e le dissertazioni teologiche del ministro Francesco Boccia sull’orario della nascita divina s’è già detto tutto e a giorni di distanza dalle improvvide dichiarazioni c’è chi è andato perfino a compulsare i Vangeli per dimostrare che l’orario non conta ma decisiva è la sostanza. Bonjour, monsieur de la Palisse. Roba da primissimi concili dell’età cristiana, altro che argomenti da discussione per un Cdm notturno. Adesso è il turno dei burocrati di Bruxelles, che incapaci di mettere d’accordo l’Austria e l’Italia sull’uso o meno degli skylift e delle seggiovie, suggeriscono nelle loro linee-guida natalizie di vietare tutte le messe e di sostituirle con “eventi in tv, online e alla radio”. Un po’ come la prima della Scala in diretta televisiva, insomma. La messa paragonata a un apericena su Zoom per salutare gli amici e i colleghi tra uno spritz e una tartina vegana. Niente assembramenti, mettono nero su bianco in Europa, vietati gli incontri religiosi perché non si sa mai. E pazienza se da quando è iniziata la pandemia non ci sono stati focolai degni di grande rilevanza scoppiati in una chiesa durante una celebrazione. Sarebbe stato sufficiente che gli estensori delle linee-guida fossero entrati una volta almeno in una chiesa, spesso più sanificate di una sala d’aspetto di un pronto soccorso: gel, mascherine, entrate e uscite separate, distanze siderali tra l’uno e l’altro fedele. 

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Privati quest’anno delle puntuali polemiche sui presepi vietati da qualche amministrazione pubblica e delle zelanti maestre d’asilo che fanno cantare ai bambini inni in onore di Perù invece di Gesù per non turbare chi in Gesù non crede – almeno tali maestre di questo sono convinte – il caos natalizio è tutto sulle messe. Vietate dal coprifuoco, anticipate dai decreti del presidente del Consiglio, sconsigliate dall’Unione europea. Sulle lezioni di catechismo del premier Giuseppe Conte riguardanti la Natività, gli altolà del ministro Roberto Speranza – “il coprifuoco vale anche per le messe” – e le dissertazioni teologiche del ministro Francesco Boccia sull’orario della nascita divina s’è già detto tutto e a giorni di distanza dalle improvvide dichiarazioni c’è chi è andato perfino a compulsare i Vangeli per dimostrare che l’orario non conta ma decisiva è la sostanza. Bonjour, monsieur de la Palisse. Roba da primissimi concili dell’età cristiana, altro che argomenti da discussione per un Cdm notturno. Adesso è il turno dei burocrati di Bruxelles, che incapaci di mettere d’accordo l’Austria e l’Italia sull’uso o meno degli skylift e delle seggiovie, suggeriscono nelle loro linee-guida natalizie di vietare tutte le messe e di sostituirle con “eventi in tv, online e alla radio”. Un po’ come la prima della Scala in diretta televisiva, insomma. La messa paragonata a un apericena su Zoom per salutare gli amici e i colleghi tra uno spritz e una tartina vegana. Niente assembramenti, mettono nero su bianco in Europa, vietati gli incontri religiosi perché non si sa mai. E pazienza se da quando è iniziata la pandemia non ci sono stati focolai degni di grande rilevanza scoppiati in una chiesa durante una celebrazione. Sarebbe stato sufficiente che gli estensori delle linee-guida fossero entrati una volta almeno in una chiesa, spesso più sanificate di una sala d’aspetto di un pronto soccorso: gel, mascherine, entrate e uscite separate, distanze siderali tra l’uno e l’altro fedele. 

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Invece, no: il problema sono le messe di Natale. Non i trasporti affollati o le inaugurazioni di megastore durante il Black Friday. Le messe. Non di mezzanotte, certo, perché a mezzanotte si starà tutti a casa con i congiunti di primo grado e forse il nonno solo. Il Papa, in pieno lockdown, aveva detto tutto, quasi presentisse che a Bruxelles avrebbero chiesto la serrata natalizia di chiese e cappelle: “Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo e mi ha rimproverato. ‘Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …’. Io pensai: ‘Ma, questo che ha nella testa, per dirmi questo?’. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: ‘Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i Sacramenti, a non viralizzare il Popolo di Dio’. La Chiesa, i Sacramenti, il Popolo di Dio sono concreti. E’ vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo”. 

 

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Gli assembramenti previsti per le messe di Natale non si sa bene in quale contesto potrebbero avvenire, visto che da quando si è usciti dal lockdown la partecipazione alle celebrazioni festive è crollata ovunque. Dopotutto, ci è stato spiegato, la messa si può guardare sul computer. Perché non lasciare decidere ai vescovi e ai parroci, che in questi mesi hanno dimostrato rara saggezza e spesso, in diversi contesti, sono stati loro i primi a sospendere messe e a chiudere chiese quando c’era il rischio di favorire il contagio? L’orario della messa natalizia è un non problema, e fermarsi a discettare se sia giusto cantare l’Adeste fideles alle dieci o a mezzanotte rischia di distrarre dal problema centrale, che è la libertà di culto. E’ sufficiente uscire dalle grandi città per accorgersi che da anni l’orario delle messe varia, vuoi per comodità vuoi perché mancano i preti e senza dono dell’ubiquità non si può ritrovarsi in chiesa tutti alla stessa ora. La questione è un’altra: se la mannaia dei cavilli legali entra nella dimensione spirituale, disponendo e legiferando su orari delle messe e limiti alle celebrazioni, allora sì che ha ragione chi paragona una chiesa a una sala cinematografica. Ma come ha stabilito il Consiglio di stato della laica Francia, la libertà di culto non è come la libertà di andare in discoteca o di sorbire un tè alla menta: “Le attività esercitate nei luoghi di culto non sono della stessa natura, le libertà fondamentali in gioco sono diverse”. A Bruxelles, dove il padre fondatore Robert Schuman diceva che “l’Europa o sarà cristiana o non sarà”, non l’hanno ancora capito.
 

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