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Legittimità morale e giustificazione etica

Il Papa chiude una volta per tutte l’eterno dibattito sulla guerra giusta

Daniele Menozzi

Nella sua ultima enciclica Francesco indica come tradurre concretamente la fratellanza propria del buon samaritano. Il rischio di una guerra mondiale "a pezzi" e la condanna della guerra giusta. Il confronto con Sant'Agostino e Giovanni XXIII

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La terza enciclica di Papa Francesco – Fratelli tutti, firmata ad Assisi sulla tomba del Poverello il 3 ottobre scorso – costituisce una riepilogazione dei temi che Bergoglio ha sviluppato nel corso di sette anni di governo della chiesa universale. Non a caso ne appaiono tessuto connettivo le citazioni di suoi precedenti interventi. Sono ben 180! Non manca però una linea unitaria. Il Pontefice intende offrire, dopo il fallimento della proposta di neo-cristianità evidenziata dalle dimissioni di Benedetto XVI, una nuova via per restituire alla chiesa la capacità di rendere attrattivo il messaggio evangelico a uomini contemporanei che continuano a guardare con indifferenza al cristianesimo.

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La terza enciclica di Papa Francesco – Fratelli tutti, firmata ad Assisi sulla tomba del Poverello il 3 ottobre scorso – costituisce una riepilogazione dei temi che Bergoglio ha sviluppato nel corso di sette anni di governo della chiesa universale. Non a caso ne appaiono tessuto connettivo le citazioni di suoi precedenti interventi. Sono ben 180! Non manca però una linea unitaria. Il Pontefice intende offrire, dopo il fallimento della proposta di neo-cristianità evidenziata dalle dimissioni di Benedetto XVI, una nuova via per restituire alla chiesa la capacità di rendere attrattivo il messaggio evangelico a uomini contemporanei che continuano a guardare con indifferenza al cristianesimo.

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Questa via trova il criterio sintetico di presentazione nel modello offerto dalla parabola del “buon samaritano”. La sua spiegazione costituisce uno degli aspetti più interessanti del documento, giungendo a una conclusione paradossale, ma per il credente, inquietante e stimolante a un tempo: “Il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio”. Il criterio generale si sfrangia poi nell’articolazione di una serie di atteggiamenti con cui i cattolici possono tradurre, in relazione ai problemi del mondo attuale, la disinteressata fratellanza che il samaritano ha manifestato per l’altro, per quanto da lui “diverso”, che si trova in condizioni di sofferenza.

 

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Ciascuno di essi meriterebbe un’analisi puntuale. Qui se ne prende in considerazione soltanto uno, che peraltro ha un ruolo cruciale sia nell’insegnamento di Francesco che nella società contemporanea: la questione della guerra e della pace. Il Papa ripropone sulla questione l’analisi già avanzata in precedenza. Dopo la Seconda guerra mondiale gli sforzi di costruire una pacifica convivenza internazionale – che hanno trovato nella Carta delle Nazioni Unite la formulazione di regole che avrebbero dovuto assicurarla – si sono rivelati inefficaci. Lungi dall’essere un fantasma del passato, come si era sperato, la guerra non solo continua a essere presente, ma si stanno creando le condizioni per una sua proliferazione. Non siamo in presenza di tanti circoscritti conflitti locali, alla fine controllabili senza catastrofiche conseguenze, bensì a una vera e propria Terza guerra mondiale, per quanto “a pezzi”.

  

In questa situazione quale deve essere il comportamento del cristiano che voglia essere coerente con l’insegnamento del Vangelo? Bergoglio ricorda che un’indicazione fondamentale era venuta dall’enciclica Pacem in terris pubblicata da Giovanni XXIII nel 1963. Davanti alla minaccia di distruzione della vita sul pianeta che sarebbe inevitabilmente scaturita da un conflitto nucleare tra le superpotenze che se ne contendevano il dominio, affermava che la guerra non era più uno strumento idoneo a ristabilire la giustizia nelle relazioni internazionali. In tal modo Roncalli rapportava alla situazione del mondo bipolare la millenaria teologia della “guerra giusta”. Essa prevedeva che era lecito ai cristiani ricorrere alla violenza delle armi per ristabilire un diritto, ma solo nella misura in cui gli inevitabili mali provocati dalla guerra fossero inferiori al bene derivante dal ristabilimento della giustizia.

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La Pacem in terris prendeva atto di una nuova realtà: nessun diritto si sarebbe potuto ripristinare in un mondo distrutto dalle bombe nucleari. Proclamava perciò l’intrinseca immoralità dei conflitti nell’èra atomica. Tuttavia lasciava ancora aperta la possibilità di una “guerra giusta”. Per legittima difesa. Francesco nota che nel successivo catechismo della chiesa cattolica si sono approfondite le modalità con cui il ricorso alla violenza delle armi poteva assumere una piena legittimità morale. Tuttavia l’esperienza degli ultimi decenni ha ormai dimostrato che si è fatto un uso eccessivamente disinvolto di quella giustificazione etica della guerra: si sono moltiplicate guerre – via via definite “umanitarie”, “preventive”, “difensive” – che in realtà hanno comportato mali e disordini più gravi dei mali che avrebbero voluto eliminare.

  

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Davanti a questa situazione la conclusione del Papa è perentoria: “Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra”. Nessuna guerra oggi ha giustificazione etica. L’affermazione è sostenuta da una nota in cui, attraverso la citazione di un passo di Sant’Agostino, si mostra come questa asserzione corrisponda perfettamente all’insegnamento di colui che ha iniziato a elaborare la dottrina della legittimità morale del ricorso alla violenza bellica.

  

L’abbandono della teologia della guerra giusta non lascia però passivo il cristiano di fronte all’attuale proliferare dei conflitti. Ricorrendo a citazioni sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, Papa Francesco ricava che egli vi si immerge come operatore di pace. In altre occasioni – in particolare nel messaggio per la Giornata della pace del 2016 – aveva sostenuto che per il credente il metodo della non violenza rappresenta la via evangelica con cui affrontare le guerre. Ma, pur senza esplicite dichiarazioni, il modello del “buon samaritano” porta a questo stesso risultato.

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