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Eredità ruiniana

Sergio Belardinelli

Caro Crippa, il progetto culturale della Cei non fu solo difesa dei cosiddetti valori non negoziabili

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Sul Foglio di martedì Maurizio Crippa ha scritto un pezzo molto bello sull’inevitabile fallimento dei programmi papali e il presunto “eccezionalismo italiano” in ordine alla tenuta “antropologica e popolare” del nostro cattolicesimo. Siccome condivido pressoché in toto quanto egli dice, sono rimasto profondamente colpito dal suo giudizio tranchant sul progetto culturale ruiniano. Lo riporto per intero: “Il progetto culturale della chiesa italiana di epoca ruiniana, basato com’era sul presupposto di un eccezionalismo cattolico da mettere a frutto, è stato un disastro inconcludente. Perché si basava su un’astrazione e non sulla constatazione che il cattolicesimo in Italia, come nel resto dell’occidente, è una minoranza residuale, che al massimo può essere ‘creativa’, diceva Ratzinger, ma non egemonica”.

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Sul Foglio di martedì Maurizio Crippa ha scritto un pezzo molto bello sull’inevitabile fallimento dei programmi papali e il presunto “eccezionalismo italiano” in ordine alla tenuta “antropologica e popolare” del nostro cattolicesimo. Siccome condivido pressoché in toto quanto egli dice, sono rimasto profondamente colpito dal suo giudizio tranchant sul progetto culturale ruiniano. Lo riporto per intero: “Il progetto culturale della chiesa italiana di epoca ruiniana, basato com’era sul presupposto di un eccezionalismo cattolico da mettere a frutto, è stato un disastro inconcludente. Perché si basava su un’astrazione e non sulla constatazione che il cattolicesimo in Italia, come nel resto dell’occidente, è una minoranza residuale, che al massimo può essere ‘creativa’, diceva Ratzinger, ma non egemonica”.

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Avendo collaborato per quattro anni al progetto ruiniano, ho l’impressione che Crippa abbia preso un abbaglio. Posso averlo preso anch’io, ma di certo era precisamente la consapevolezza di essere diventati in quanto cattolici una minoranza (non so neanche se “creativa”) che muoveva l’attività ruiniana di quegli anni (parlo soprattutto degli anni 2008-2012, ma credo che valga anche per gli anni precedenti). “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”, aveva detto Giovanni Paolo II al Congresso nazionale del Meic nel 1982. E proprio a questa indicazione si ispirò il progetto culturale della chiesa italiana. Come scrisse il cardinale Ruini nel settembre del 2005, il suo assunto fondamentale “è che in Gesù Cristo, nella sua vita e nella sua morte e risurrezione, nelle sue parole e nelle sue opere, ci è data una precisa immagine e interpretazione dell’uomo, che è alla base di un’antropologia ben determinata e al contempo plastica e dinamica, capace cioè di incarnarsi nelle più diverse situazioni e contesti storici, conservando però la specifica fisionomia, i suoi lineamenti essenziali e i suoi contenuti di fondo”.

 

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Ammettiamo pure, come scrive Crippa, che la tenuta di questa idea antropologica nel mondo cattolico fosse sovrastimata (sono d’accordo con lui; per molti versi lo era), ma perché “colpevolmente sovrastimata”? Perché si cercava di renderla plausibile in ambiti come la famiglia o la bioetica? Spererei di no, pur con tutti i limiti di certe proposte. Ma allora non sarebbe meglio dare per scontato che stiamo parlando di un ideale (Gesù Cristo) destinato a suscitare scandalo sempre e comunque, del quale anche il “buonasera” di Francesco non è che una declinazione? Perché dunque esasperare differenze che, almeno a questo livello, ossia sull’essenziale, non ci sono? La “svolta antropologica” che ha contraddistinto la cultura cattolica italiana degli anni ruiniani e quindi il progetto culturale aveva pur sempre dietro di sé il magistero di almeno tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Essa può quindi senz’altro suscitare maggiore o minore simpatia per come è stata declinata, ma non merita di essere liquidata come un “disastro inconcludente”. In un mondo sempre più indifferente se non ostile, il progetto ruiniano in fondo si proponeva semplicemente di rendere di nuovo plausibile nei diversi ambiti della vita e della cultura la figura di Gesù Cristo, “Redentore dell’uomo”. Compito arduo a declinarsi, specialmente sul piano culturale, ma ciononostante credo che qualche frutto sia venuto. Potrei fare diversi esempi in proposito, ma mi limito a uno soltanto: i tre “rapporti-proposta” pubblicati dal Comitato per il progetto culturale negli anni 2009-2012, dedicati rispettivamente all’educazione, alla demografia e al lavoro. A rileggerli oggi, sembra addirittura di trovarsi di fronte a una sorta di progetto culturale per l’Italia ancora attualissimo. Voglio dire insomma che quel tempo difficile (più o meno come lo sono tutti i tempi) fu anche un tempo propizio per la cultura cattolica. E questo vale non soltanto per la difesa dei cosiddetti valori non negoziabili, ma anche per il rilancio di una cultura del custodire, della tenerezza e della misericordia. Papa Francesco docet, verrebbe da dire.

 

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