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TESI CONDIVISIBILI CON QUALCHE PERPLESSITA’. DIBATTITO

Il dubbio che resta dopo aver letto l’analisi di Spadaro sul governo del Papa

Daniele Menozzi

In discussione la volontà riformatrice del pontefice. L'interrogativo del direttore della Civiltà cattolica: "E' ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? 

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Il direttore della Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, ha un ruolo rilevante nella riorganizzazione della comunicazione vaticana introdotta da Papa Francesco. Fin dall’inizio del pontificato Bergoglio gli concede interviste, in modo da far conoscere attraverso le sue stesse parole, senza mediazioni, i suoi orientamenti. Ciò non significa che Spadaro rinunci a presentare all’opinione pubblica la sua interpretazione della linea papale; ma, proprio per il rapporto personale che intrattiene con il confratello gesuita, ne appare un interprete autorizzato. Per questa ragione un intervento da lui compiuto in un seminario, organizzato dal quindicinale della Compagnia di Gesù in Italia nell’autunno del 2015 sul rinnovamento della Chiesa – gli atti sono stati pubblicati dall’editrice Queriniana col titolo La riforma e le riforme della Chiesa – era apparso particolarmente significativo. Spadaro vi sosteneva che, per comprendere quella riforma della chiesa che nel documento programmatico del pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco aveva definito “improrogabile”, occorreva rifarsi alla spiritualità ignaziana e in particolare alla teoria del discernimento del fondatore dei gesuiti. Nell’ultimo numero della Civiltà cattolica, datato 5 settembre, il direttore del periodico è ritornato sull’argomento con un articolo che, sotto il titolo Il governo di Francesco pone, come sottotitolo, una domanda impegnativa: E’ ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? In effetti il sintagma “spinta propulsiva” rimanda a un momento importante della storia contemporanea. Il 15 dicembre 1981, in una conferenza stampa televisiva, l’allora segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, commentava il colpo di stato che aveva portato il generale Jaruzelski al governo della Polonia con un giudizio tranciante: quell’evento significava che si era esaurita la “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre del 1917, presentata come “il più grande evento rivoluzionario della nostra epoca”. Ne traeva la conclusione che sulla via della costruzione del socialismo si era conclusa una fase storica e se ne apriva un’altra da impostare su princìpi (la libertà e la democrazia) del tutto diversi. Difficile ritenere inconsapevole il ricorso a un’espressione così densa di significati.

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Il direttore della Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, ha un ruolo rilevante nella riorganizzazione della comunicazione vaticana introdotta da Papa Francesco. Fin dall’inizio del pontificato Bergoglio gli concede interviste, in modo da far conoscere attraverso le sue stesse parole, senza mediazioni, i suoi orientamenti. Ciò non significa che Spadaro rinunci a presentare all’opinione pubblica la sua interpretazione della linea papale; ma, proprio per il rapporto personale che intrattiene con il confratello gesuita, ne appare un interprete autorizzato. Per questa ragione un intervento da lui compiuto in un seminario, organizzato dal quindicinale della Compagnia di Gesù in Italia nell’autunno del 2015 sul rinnovamento della Chiesa – gli atti sono stati pubblicati dall’editrice Queriniana col titolo La riforma e le riforme della Chiesa – era apparso particolarmente significativo. Spadaro vi sosteneva che, per comprendere quella riforma della chiesa che nel documento programmatico del pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco aveva definito “improrogabile”, occorreva rifarsi alla spiritualità ignaziana e in particolare alla teoria del discernimento del fondatore dei gesuiti. Nell’ultimo numero della Civiltà cattolica, datato 5 settembre, il direttore del periodico è ritornato sull’argomento con un articolo che, sotto il titolo Il governo di Francesco pone, come sottotitolo, una domanda impegnativa: E’ ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? In effetti il sintagma “spinta propulsiva” rimanda a un momento importante della storia contemporanea. Il 15 dicembre 1981, in una conferenza stampa televisiva, l’allora segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, commentava il colpo di stato che aveva portato il generale Jaruzelski al governo della Polonia con un giudizio tranciante: quell’evento significava che si era esaurita la “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre del 1917, presentata come “il più grande evento rivoluzionario della nostra epoca”. Ne traeva la conclusione che sulla via della costruzione del socialismo si era conclusa una fase storica e se ne apriva un’altra da impostare su princìpi (la libertà e la democrazia) del tutto diversi. Difficile ritenere inconsapevole il ricorso a un’espressione così densa di significati.

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Spadaro vuole intenzionalmente porre la questione dell’esistenza di un’analogia: anche la fase riformistica del pontificato di Bergoglio, aperta dall’Evangelii gaudium, si è irrimediabilmente chiusa? Ad alcuni osservatori la domanda non era apparsa priva di fondamento alla luce delle conclusioni che Francesco aveva tratto dal sinodo sull’Amazzonia nell’esortazione apostolica post sinodale, Querida Amazonia, pubblicata nel febbraio 2020. Di fronte alle richieste di introdurre il ministero uxorato (ordinazione di persone sposate) che diversi padri avevano avanzato per poter continuare ad assicurare la celebrazione della messa e il servizio eucaristico a popolazioni cattoliche che assai raramente potevano in quei territori sterminati incontrare un sacerdote, il Papa aveva risposto che un simile mutamento non sarebbe stato recepito della chiesa universale. Pur senza un diniego formale, anzi riconoscendo che la disciplina ecclesiastica doveva mutare a seconda dei diversi contesti storici in cui operavano le varie comunità ecclesiali, sollecitava ad approfondire ulteriormente l’argomento.

 

 

Per alcuni commentatori la questione costituiva il banco di prova della volontà riformatrice del Papa. La risposta aveva perciò un inequivocabile significato. I settori conservatori della Chiesa – valendosi dell’appoggio dei circoli tradizionalisti che erano giunti al punto di minacciare lo scisma di fronte a una simile innovazione – avevano ottenuto il loro scopo: bloccare la ripresa dell’aggiornamento ecclesiale che Francesco aveva inizialmente riattivato, riaprendo dopo decenni di chiusure la stagione giovannea e conciliare. Per mostrare che le cose non stanno così Spadaro pubblica un appunto inedito sul sinodo che il Papa gli ha trasmesso. Francesco osserva che nella congregazione generale la discussione sul sacerdozio uxorato è stata ricca, fondata, produttiva, ma non vi è stato “nessun discernimento”. I pareri si sono divisi in posizioni dialettiche e antagoniste. Trincerandosi nella difesa della propria verità, i padri sinodali correvano il rischio di trasformare la riunione in un parlamento, dove l’ideologia si sostituisce alla libertà di spirito e la costruzione di una maggioranza prende il sopravvento sulla ricerca del cammino comune che lo Spirito santo indica al popolo di Dio. Di qui la convinzione che la questione non era sufficientemente matura e la decisione di rinviarne la soluzione. Spadaro commenta che non si è dunque trattato di chiudere definitivamente la discussione, bloccando una misura di rinnovamento auspicata dai settori ecclesiali progressisti e avversata da quelli conservatori, ma di attendere che avvenga in materia quel discernimento che nella spiritualità di sant’Ignazio costituisce il criterio cui ogni gesuita deve attenersi. Secondo il direttore della Civiltà cattolica, l’episodio consente una valutazione generale sulla spinta propulsiva del pontificato: è ancora pienamente attiva, perché l’ottica del discernimento ha guidato e continua a guidare le misure prese dal papa per il governo della Chiesa universale. A questa impostazione riconduce atteggiamenti che in effetti marcano in maniera clamorosa la diversità di Bergoglio rispetto ai suoi predecessori: il Pontefice non ha alcuna esitazione a riconoscere pubblicamente che suoi interventi possono essere sbagliati, se ne scusa e procede a correggerli. Ne è appunto ragione la profonda introiezione del metodo ignaziano. Il discernimento comporta che ogni decisione non sia presa sulla base di un programma di governo definito in ossequio ad astratti ideali o alla luce di un precostituito modello istituzionale di Chiesa. Viene invece misurata sulla ricerca di quale sia la volontà di Dio per gli uomini che conducono la loro esistenza nelle concrete condizioni di un determinato momento storico. Qui sta la radice di uno degli indirizzi che mostrano l’impulso riformatore di Papa Francesco: la proposta di una Chiesa “in uscita”, che assume la funzione di “ospedale da campo” per trovare il miglior modo di sanare le ferite degli uomini di oggi.

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Le considerazioni di Spadaro, suffragate da documenti personali del Papa, restituiscono certamente la reale autoconsapevolezza con cui Francesco procede nel governo della Chiesa universale. Non si vedono inoltre ragioni per ritenere che vi siano rallentamenti o arretramenti nell’applicazione di quel criterio del discernimento ignaziano che ha permesso a Francesco di riportare nella storia una Chiesa a rischio di insignificanza nel mondo d’oggi, facendola nuovamente dialogare con gli uomini contemporanei. Eppure l’articolo del direttore della rivista dei gesuiti italiani non scioglie un dubbio. Il fatto stesso che venga posta una domanda sulla spinta propulsiva del pontificato non rappresenta l’espressione retorica di un’incertezza di fondo sulla effettiva incisività delle misure adottate dal Papa? Il dubbio è rafforzato se si guarda alla risposta sotto il profilo della politica ecclesiastica. Spadaro sostiene che la linea riformistica di Bergoglio gli consente di evitare gli scogli delle opposte richieste di progressisti e conservatori. Una rivendicazione di centralità che difficilmente assume chi tiene con sicurezza le briglie dell’innovazione.

 

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