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Finalmente la Cei batte un colpo. Bassetti: “E’ ora di tornare a messa”

Piero Vietti

I vescovi più zelanti dei carabinieri a Lima e a Cremona. Il vescovo Aupetit (Parigi) contro le irruzioni in chiesa della polizia

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Roma. “E’ arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici”. A scriverlo, “in coscienza a tutte le istituzioni”, è stato ieri in una lettera alla sua diocesi il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia.

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Roma. “E’ arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici”. A scriverlo, “in coscienza a tutte le istituzioni”, è stato ieri in una lettera alla sua diocesi il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia.

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Finalmente una parola chiara, dopo settimane di silenzio su una questione sollevata da più parti, a partire dal Papa, e che avrebbe potuto essere messa all’ordine del giorno prima. Un intervento, quello del capo dei vescovi italiani, che arriva in un periodo in cui non solo in Italia succede che le messe con qualche fedele presente vengono interrotte dalle forze dell’ordine. Padre Philippe de Maistre, parroco della parrocchia di Saint-André-de-l’Europe, a Parigi, trasmette ogni domenica sui social la messa che celebra con altri preti. Domenica scorsa, racconta il Figaro, nel mezzo della celebrazione tre agenti di polizia hanno fatto irruzione nella sua chiesa imponendogli di fermare la messa. I tre poliziotti erano armati, ha raccontato il sacerdote al quotidiano francese, ricordando che in Francia, per legge, “l’autorità di polizia in una chiesa è il prete. Fatta eccezione per i pompieri, la polizia non può entrare a meno di non essere chiamata dal parroco” o a meno che non ci sia “disturbo dell’ordine pubblico”. Una vicenda simile a quella capitata a don Lino Viola, che in provincia di Cremona si è rifiutato di fermare la messa nonostante la presenza dei carabinieri sull’altare. Diversa però la reazione dei rispettivi vescovi. L’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, mercoledì ha denunciato l’incidente su Radio Notre-Dame: “C’è un divieto formale alla polizia di entrare con le armi in una chiesa. Non c’erano terroristi! Dobbiamo mantenere la calma e fermare questo circo. Altrimenti parleremo e ci faremo sentire molto forte”. In difesa di don Lino, invece, si è espresso ufficialmente soltanto il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Becciu. La diocesi di Cremona lo ha invece pubblicamente criticato, prendendo le distanze dalla sua decisione di continuare a dire messa. Ma a don Lino è andata meglio che a un “collega” di Lima, in Perù: l’arcivescovo Carlos Castillo Mattasoglio nei giorni scorsi ha infatti comminato sanzioni canoniche e consegnato alla giustizia civile un sacerdote che domenica scorsa aveva celebrato la messa davanti ad alcuni fedeli.

 

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In generale, a parte eccezioni come quella di Aupetit, si nota un curioso silenzio-assenso da parte delle autorità ecclesiali a qualunque divieto venga imposto dalle autorità civili, abusi compresi. Indicativo il comunicato della diocesi di Cremona sulla vicenda di don Viola: “Nel testo – fa notare al Foglio il sociologo della religione Pietro De Marco – dopo due formule pietistiche su sofferenza e disagio di chierici e fedeli, si censura senz’altro ‘il comportamento del parroco [poiché] in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese’. L’argomento, del tutto estrinseco, è analogo a quello del carabiniere, suppongo: ‘Vi sono delle disposizioni’. Vorrei per parte mia valutare, e far valutare canonisticamente, come e da chi siano state prodotte le invocate ‘indicazioni’ canoniche, quale ne sia la loro obbligatorietà”.

 

Quello di Lima è il più clamoroso, ma in alcuni casi sembra che i vescovi, quando non tacciono, facciano loro i poliziotti, ribaltandola situazione. “Quello che non va – prosegue il professore – nella sostanza e nel rilievo ‘politico’ (relazioni stato-chiesa) che hanno questa e tutte le analoghe posizioni di autorità ecclesiastiche, è il carattere di pubblico ufficiale (direi, scherzando, di complemento), forse richiesto ma non dovuto, assunto dalla chiesa tutta, da quasi tutte le chiese locali d’Europa, nella loro infelice autonomia dal Centro e subalternità agli ordinamenti e valori civili nazionali. E subalternità non equivale a riconoscimento dell’altro, piuttosto a rinuncia alla propria autorità”. Autorità ecclesiastiche e civili devono collaborare, ed è comprensibile che con una pandemia in corso non si corra a riaprire tutte le funzioni al popolo, ma forse un po’ meno conformismo civile non guasterebbe. Se quella di accettare ogni decisione del governo senza neppure trattare nei limiti consentiti dalla legge e dal Concordato è una strategia, non è chiaro dove possa portare. Difficile che l’esecutivo (pronto a organizzare le celebrazioni del 25 in piazza, purché ci sia distanza di sicurezza tra i partecipanti, dopo avere vietato per due mesi i funerali anche ai parenti stretti delle vittime del Covid) faccia chissà quali concessioni. De Marco è duro, parla di “colpevole passività”, e conclude: “Chi non molti anni fa deprecava l’avvento di un cattolicesimo italiano come religione civile succube alle forze politiche, di governo, dovrebbe esaminare se stesso: in questo momento l’inconsapevolezza delle necessità della libertas ecclesiae (inconsapevolezza che allora era ben lontana dall’esserci) fa della chiesa italiana un ottimo esempio di religione ignara si sé, e anzi apologeta della propria subalternità. Per paura di chi, di che?”. Le parole di Bassetti, finalmente, non danno più alibi a nessuno.

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