Farsi guidare dal cardinale di Bologna Zuppi nei territori dell’odio (o del diavolo)
Salvini c’entra, ma il posto più pericoloso è la chiesa. Il libro del vescovo di Bologna “Odierai il prossimo tuo”, i social, la paura come un peccato
Quando è uscito, un paio di mesi fa, stava detonando la battaglia politica per l’Emilia-Romagna e venne facile incasellarlo come un libro contro Salvini, sprecando la lettura. Del resto si era nel clima della furiosa (nel senso di Orlando) tempesta dottrinale-sostituzionista dei tortellini senza carne (lui non c’entrava, ma nel libro ricorda che pure Papa Francesco, giunto a Bologna, fu accusato di sacrilegio per aver portato i poveri a mangiare dentro a San Petronio). E si era al debutto della campagna elettorale a trazione identitaria della Lega. Per aprirla, del resto, Matteo Salvini aveva scelto un poeta battezzato, un intellò del suo giro, a snocciolare al colto e all’inclita i pregi dell’identità cattolica della grassa terra tra l’Appennino e il mare. Invece il cardinale di Bologna, l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi, con l’aiuto di Lorenzo Fazzini se usciva con un libro di riflessioni dal titolo “Odierai il tuo prossimo - Perché abbiamo dimenticato la fraternità”. Ce n’era di che liquidarlo senza leggerlo. Ma il libro parla di molto altro che non di sardine e acque limitrofe. Parla, soprattutto, delle radici dell’odio sociale e dell’odio interno alla stessa chiesa (altra attualità, molto social anche quella).
Il libro di Zuppi in realtà parla anche di altro, e di più profondo. A tema c’è l’odio, “il crescente e latente rancore presente nella società italiana” (ma può valere per tante società) che si declina nei modi che ormai tutti abbiamo imparato a catalogare. Che per Zuppi hanno una sola radice comune: la paura. Una paura illuminata dalla sua radice biblica: “L’odio ha sempre accompagnato la condizione umana. Secondo la tradizione ebraico-cristiana si tratta del frutto del peccato originale, cioè del profondo sospetto nei confronti di Dio e dei fratelli che portiamo nella nostra anima: la paura che l’altro non voglia il nostro bene”. Se Zuppi avesse voluto fare un discorso di alta teologia, il “sospetto nei confronti di Dio” gli avrebbe offerto la chiave di molti problemi. Alla radice dell’hate speech, la Rete come una “entità senza perdono” dello scontro politico divenuto tribale, del femminicidio (uh, un vescovo che parla di femminicidio) c’è un sospetto sulla natura dell’essere che affonda in territori infinitamente anteriori alla nascita di Facebook. Zuppi li elenca con semplicità, e sempre rapportandoli alla domanda su quel che deve fare un cristiano Il che porta alla parte forse più importante, e puntuta, delle sue riflessioni. E’ il capitolo, significativamente fra i primi, intitolato “Anche nella chiesa (ci) si odia”. Che è la dolorosa constatazione di un pastore su qualcosa di eterno, il “Divisore” è sempre all’opera. Ma nel tempo recente, vuoi la radicalizzazione dei linguaggi, vuoi l’essersi conformati troppo alla mentalità di questo secolo (per Zuppi più la seconda), il tasso di divisione nella chiesa è diventato più livoroso. “In nome della verità e spesso in buona fede”. Gli esempi sono semplici: i Papi. Fu criticato aspramente Giovanni XXIII, fu attaccato persino a livello personale Paolo VI. Giovanni Paolo II subì attacchi sia da sinistra che da destra, Benedetto XVI sia da destra che da sinistra. Ma, annota Zuppi, “assistiamo a un’insistenza e a un’amplificazione delle critiche che ci sembrano inedite per virulenza e volgarità di linguaggio”. Tema, come si vede, anche più attuale delle elezioni. Da che parte stia Zuppi, non è a tema. E’ più interessante lo stile piano con cui prova a dare un esempio di non-hate speech ecclesiale. E poi, questo giudizio: “Io penso che la polemica fondata sulla convinzione di essere nel giusto e condotta in nome del ‘bene supremo’ della chiesa proviene dal Maligno. Anzi è l’inganno peggiore del Tentatore, che usa, come sappiamo, la stessa Parola di Dio per confondere Gesù nel deserto”.