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Il cardinale Pell condannato a sei anni di carcere in diretta tv: "In nome della trasparenza"

Matteo Matzuzzi

L'ex prefetto della Segreteria per l'Economia rischiava 50 anni. Il giudice: "Crimini odiosi, ma clima da caccia alle streghe"

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Roma. In nome della “trasparenza” l’udienza è stata trasmessa in diretta televisiva, una rarità anche per i canoni australiani. George Pell, cardinale, era impassibile mentre ascoltava la ricostruzione degli eventi per i quali lo scorso dicembre era stato giudicato colpevole all’unanimità da una giuria popolare dello stato di Victoria. Al giudice Peter Kidd spettava ora il compito di comminare la pena. Rischiava fino a cinquant’anni di carcere, dieci per ogni capo di imputazione. Ne ha avuti sei. Una sentenza più che mite – ha influito l’avanzata età del porporato, come sottolineato dal magistrato – ma che comunque rappresenta un elemento notevole nella vicenda, soprattutto se si considerano i “crimini odiosi” – parole del magistrato – concretizzatisi in “un attacco sessuale sfrontato e forzato” nei confronti di due minori, avvenuto nel lontano 1996 nella sacrestia della cattedrale di Melbourne. Una violenza fisica su due coristi tredicenni di cui nessuno si sarebbe accorto, al termine della messa solenne e con la porta del locale aperta.

 

Una prima giuria, chiamata a valutare il caso, era stata sciolta perché incapace di raggiungere un verdetto. Questa volta, all’accusa, è andata meglio. All’esterno, urla di gioia e insulti, ma anche pianti disperati. Il verdetto ha lacerato l’opinione pubblica, che non è – come sovente descritto dalla retorica mediatica internazionale – unanime nel ritenere colpevole il cardinale. Soprattutto perché la ricostruzione lascia più di un dubbio. Il giudice ha non a caso sottolineato che c’è stato “un clima da caccia alle streghe”, un “linciaggio” evidente nei confronti di Pell, che comunque non può essere ritenuto “il capro espiatorio della chiesa cattolica”.

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Il cardinale, già prefetto della Segreteria per l’Economia, si sarebbe reso colpevole di “abuso di potere”. Non potrà uscire dal carcere prima di tre anni e otto mesi. Il team legale che lo assiste ha già presentato appello, il cui esame sarà discusso all’inizio di giugno. Secondo gli esperti è molto probabile che il ricorso sarà concesso – in Australia vige il sistema di common law, per cui l’appello non è scontato – essendo il caso molto delicato e sussistendo diversi dubbi sulla procedura seguita in primo grado.

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