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I vescovi polacchi provano a disinnescare l’effetto Francesco sui migranti

Il Papa a Cracovia per la giornata mondiale della Gioventù. Perché la visita si preannuncia assai delicata sul piano politico.
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Roma. Domani il Papa arriverà a Cracovia, per la trentunesima Giornata mondiale della Gioventù. Metterà piede nella città che ebbe come arcivescovo Karol Wojtyla, pregherà nella cappella della Madonna Nera a Czestochowa, si fermerà in silenzio davanti alle baracche di Auschwitz e Birkenau. E poi presiederà la Via Crucis con i giovani, sulle orme di Giovanni Paolo II. Ma oltre al programma fatto di momenti liturgici e rimembranze storiche, la visita si preannuncia assai delicata sul piano politico, soprattutto se si considera che nel mezzo dell’animato dibattito tra gli opposti schieramenti è finito l’episcopato polacco. E’ il tema dell’accoglienza dei profughi ad allarmare l’establishment che governa il paese, la destra che controlla la presidenza della Repubblica e il governo. Poco propenso, quest’ultimo, a rendersi disponibile a copiare il modello delle porte aperte caro alla vicina Angela Merkel e ostile anche a dare il via libera al ricollocamento dei profughi attraverso il sistema delle quote. Una situazione, questa, che ha offerto all’opposizione di sinistra l’occasione di sfruttare la visita di Francesco per denunciare il progressivo allontanamento della Polonia dai valori – più o meno in buona salute – europei. Nelle scorse settimane, non a caso, i leader progressisti erano in testa ai cortei che a Varsavia e Cracovia sfilavano intonando lo slogan “noi siamo e resteremo in Europa”. In mezzo ci sono finiti i vescovi, vicini al partito al governo. Una vicinanza che secondo molti osservatori ostili al presidente Andrzej Duda e alla premier Beata Szydlo si tradurrebbe automaticamente in un’opposizione della gerarchia episcopale polacca al Papa e ai suoi inviti all’accoglienza.

 

In quest’ottica va letta la singolare Nota diffusa sabato mattina dalla Sala Stampa vaticana, messa per iscritto dal reverendo Pawel Rytel-Andrianik e interamente dedicata a rimarcare quanto i vescovi della terra che fu di Giovanni Paolo II siano in prima linea sul fronte dell’integrazione dei profughi che entrano in Europa abbandonando l’Africa e il vicino oriente in guerra. Il documento è articolato, ricorda che “la Polonia non si trova lungo la strada dei principali flussi migratori” e che “non ci sono connessioni dirette con le principali rotte di migrazione”. Si cita il numero delle richieste d’asilo presentate nel 2015 (12.325, di cui 7.989 ceceni a fronte di soli 295 siriani) e si precisa che gli stranieri che legalmente soggiornano nel paese sono lo 0,4 per cento della popolazione totale. Eppure, “esistono grandi paure” alimentate “da alcuni partiti politici e da dichiarazioni non appropriate fatte da politici. C’è una paura dei musulmani artificialmente creata, comprensibile del resto per certi versi”, che poi sono “gli attacchi terroristici”. Si menzionano gli incidenti “poco piacevoli” accaduti negli ultimi mesi, come le marce di gruppi nazionalistici a Breslavia e Varsavia, nonché la presenza di “gruppi militari volontari che violano il diritto alla libertà e detengono rifugiati siriani”.

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Fatta la premessa, il testo diffuso dal Vaticano ricorda che i vescovi polacchi fin dall’8 settembre del 2015 avevano rilanciato l’appello del Papa risalente a tre giorni prima, quando all’Angelus Francesco aveva chiesto che “ogni famiglia ospiti una famiglia di profughi”. La Nota riporta quanto disse il presidente della Conferenza episcopale polacca, l’arcivescovo Stanislaw Gadecki, pronto a garantire che la chiesa locale avrebbe fatto “tutto ciò che sarà nel suo potere per aiutare i profughi nella loro drammatica situazione”. Ma ecco il punto che rimanda alla complessa querelle tra governo, opposizione, vescovi e Vaticano: nel documento diffuso sabato, si ricorda – la frase è evidenziata e sottolineata, a rimarcarne l’importanza – un passaggio dell’omelia che proprio mons. Gadecki ha pronunciato lo scorso 10 luglio a Jasna Gora. Il presule, richiamando ancora una volta al dovere dell’accoglienza “verso chi fugge da guerre, violenze e persecuzioni”, aveva detto che “Papa Francesco è a favore di una politica di integrazione e non quella di un multiculturalismo auspicato da ambienti di sinistra”. Più che un tentativo di declinare nel contesto polacco – dove più del 70 per cento dei cittadini, stando a un recente sondaggio indipendente, è ostile ai rifugiati – la linea data da Bergoglio, l’intervento dei vertici episcopali va letto come il tentativo di togliere alle forze di sinistra l’occasione di strumentalizzare il viaggio del Papa in ottica antigovernativa. Si tratta, insomma, di “disinnescare la bomba prima che esploda”, ha scritto il sito cattolico Crux.

 

I vescovi, infatti, sono consapevoli che tutto ciò che il Papa dirà sul tema dei profughi durante i quattro giorni di permanenza in Polonia sarebbe immediatamente letto con le lenti della battaglia politica, con l’implicita constatazione che i vescovi non sono in linea con i dettami papali – come peraltro era accaduto in occasione del doppio Sinodo sulla famiglia, con i presuli polacchi tra i più determinati a respingere ogni apertura in materia di morale familiare. Assume dunque ancora più rilevanza il discorso che Francesco terrà domani pomeriggio al battagliero episcopato polacco riunito nella cattedrale di Cracovia. Le premesse di una riedizione in chiave europea dell’intervento pronunciato lo scorso settembre ai presuli americani, in cui aveva chiesto di abbandonare la contrapposizione muscolare, ci sono tutte.

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