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Idee diverse sul ruolo della magistratura contro il terrorismo

Massimo Bordin
La questione ha cominciato a essere posta in modo abbastanza indiretto, quasi rarefatto, in un convegno di qualche settimana fa, dedicato al tema del ruolo della magistratura nel contrasto al terrorismo internazionale.
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La questione ha cominciato a essere posta in modo abbastanza indiretto, quasi rarefatto, in un convegno di qualche settimana fa, dedicato al tema del ruolo della magistratura nel contrasto al terrorismo internazionale. Si erano confrontate sostanzialmente due posizioni, quella del procuratore capo di Torino Armando Spataro, che sosteneva la necessità di applicare lo schema utilizzato nel contrastare il terrorismo italiano degli anni 70, e quella del procuratore generale romano Giovanni Salvi, che invece ritiene, come ha spiegato nei giorni scorsi in una intervista sulla Stampa, troppo complesso il fenomeno del terrorismo islamico per poterlo indagare efficacemente con strumenti di indagine ordinari. Nell’intervista di ieri a Repubblica, Spataro, con la schiettezza che tutti gli riconoscono, chiarisce il vero oggetto del contendere. I pubblici ministeri devono restare padroni assoluti delle indagini, anche nella fase preventiva della raccolta di informazioni, utilizzando la polizia giudiziaria, a loro sottoposta. Rafforzare il ruolo dell’intelligence, ovvero dei servizi, politicizzerebbe l’azione di contrasto, arrivando inevitabilmente a ledere l’autonomia della magistratura. Chiarissimo. Detto in altri termini, e con un po’ di malizia, si potrebbe tradurre così: la nostra discrezionalità, da cui deriva il nostro potere, non può essere in alcun modo divisa, tanto più  di fronte a una questione così importante. A menare la danza, a stabilirne tempi e modi, devono essere solo le procure. In parole povere, siamo alle solite.
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