Il testo sul suicidio assistito è una resa alle pressioni ideologiche

Ferdinando Cancelli

La Cassazione ha escluso la punibilità per chi agevola il proposito di suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile. Un risultato pericoloso per chi affida alla medicina la propria vita

Attualmente la fase finale della vita è normata dalla legge 219 del 2017. La sentenza della Cassazione 242 del 2019 ha però aperto la via a ulteriori drammatici passi in avanti: nel sancire l’illegittimità dell’articolo 580 del Codice penale escludendo la punibilità per chi agevola il proposito di suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile la sentenza ha di fatto introdotto in Italia non solo il rifiuto dei trattamenti sanitari ma l’eutanasia vera e propria.

 

La lettura del testo base intitolato “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” in tema di rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia, in questi giorni in discussione in Parlamento, lascia sconcertati sotto vari punti di vista. Sono poche parole raggruppate in otto articoli: un testo scarno, povero, superficiale e pericoloso sia per chi alla medicina affida la propria vita, i malati, sia per chi ha fatto della medicina la propria professione, i medici. Il testo è stato scritto palesemente da chi non ha mai avuto la minima esperienza clinica e ha cercato, goffamente, di mettere sulla carta quanto richiesto da forti interessi di parte e da spinte ideologiche sconsiderate.

 

Il risultato è misero, come se nemmeno i promotori di una legge che potrebbe rappresentare un vulnus irreparabile all’esercizio della professione medica fossero stati capaci di coglierne la portata storica, se pur in negativo: quanto da molti auspicato da anni si sta consumando nel modo più squallido e incoerente possibile. Si parla di “morte volontaria medicalmente assistita” con un “decesso cagionato da un atto autonomo” “con il supporto e la supervisione del Servizio sanitario nazionale”. Nessun riferimento alla parola “suicidio assistito” o “eutanasia”, il ruolo del medico, invocato fin dal titolo, sfuma poi in una presenza facilitatrice di cui non si comprende il significato.

 

Tra le condizioni per poter fare richiesta di morte volontaria, si legge, vi è la “patologia irreversibile o a prognosi infausta” o la “condizione clinica irreversibile” senza alcuna specifica di prognosi, vi è la presenza di trattamenti di sostegno vitale e vi è, somma ipocrisia in un testo totalmente sterile dal punto di vista scientifico e umano, l’accenno alle cure palliative, accettate o rifiutate che siano. E naturalmente le “sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili”. La richiesta di morire (“consapevole, libera e esplicita”, caratteristiche facilissime da appurare al capezzale di un malato grave) deve essere indirizzata al medico il quale redigerà “un rapporto sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni” della richiesta e lo inoltrerà al “Comitato per l’etica nella clinica territorialmente competente”. Questo, “entro sette giorni”, esprimerà “un parere motivato” sull’esistenza dei presupposti e requisiti e lo trasmetterà al medico e al paziente. Il medico lo trasmetterà alla Direzione sanitaria territoriale o dell’ospedale che si attiverà per uccidere o far suicidare il paziente a casa sua o presso una struttura pubblica. Durante l’attuazione di questa morte che, particolare raccapricciante, dovrà per legge essere equiparata a quella “per cause naturali”, il medico potrà avere accanto a sé, novello sacerdote laico del novello patibolo volontario, lo psicologo.

 


I “Comitati per l’etica nella clinica” non esistono, il fascicolo sanitario elettronico al quale costoro accennano è realtà rara, la fine “volontaria, dignitosa e consapevole” non esiste nemmeno in quegli stati che pure sono “più avanzati di noi” su questi temi, le decisioni alla fine della vita sono difficilissime e ambivalenti e quasi mai “libere”, le sofferenze sono non solo fisiche e psicologiche ma anche sociali, economiche e spirituali.

 

Non un cenno alla famiglia, alla relazione medico paziente, al tempo di cura, a che cosa veramente avverrà in quelle case o in quelle strutture, alla libertà del medico. Non un cenno agli infermieri, figure chiave nel rapporto con il paziente al termine della vita, non un cenno al fattore tempo di cura e di relazione, nessun rispetto per nessuno. Come se una volontà da sola fosse in grado, monade ferita e ab-soluta, di prendere in mano la propria vita che non si è data e che pure avrà cercato di condurre nel modo più dignitoso possibile. 


Questa follia è lo specchio di una povera visione dell’uomo, di un’incompetenza grave e di una superficialità colpevole. Apriamo subito i nostri occhi.
 

Di più su questi argomenti: