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Il jihad e i dubbi che vengono sentendo il Papa

Antonio Gurrado

Prima Orlando, poi Dacca, poi Nizza, infine Rouen. L'escalation di violenza e di crudeltà dei terroristi islamisti nei confronti dell'occidente (e non solo) e quello che non vogliamo ancora capire.

 

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Vi dirò, sulle prime avevo frainteso. Hanno colpito a Orlando e mi sono lievemente allarmato, poiché ho una certa propensione libertina che, nel confessionale, può ricevere assoluzioni e salutari scappellotti mentre, per lo jihadista del Pulse, sarebbe probabilmente altrettanto meritevole di proiettili all'impazzata. Dopo, hanno colpito a Dacca e mi sono un po' preoccupato, perché il mio arabo si limita a mezzo versetto della prima sura mentre, per gli jihadisti dell'Artisan Bakery, è fondamentale saper recitare il Corano in lingua originale onde avere salva la vita. Quindi hanno colpito a Nizza, e lì mi sono agitato parecchio: al catechismo mi avevano insegnato che fare due passi e prendere un gelato sono atti innocenti, che a modo loro rendono gratitudine al Signore, mentre per lo jihadista della Promenade des Anglais si tratta di gesti provocatori d'infedeli meritevoli di essere schiacciati come mosche. Quando poi hanno colpito a Rouen, sgozzando durante la messa un vecchio sacerdote che forse non si aspettava di morire martire, mi sono davvero angosciato, in quanto era chiaro che gli jihadisti di Saint-Etienne-du-Rouvray volevano essere latori di un biglietto d'avvertimento, lasciato discretamente scivolare nelle mani di chiunque vada in chiesa, ascolti messa e senta di amare i vecchi preti meno di quanto meriterebbero. Poi, quando ho sentito il Papa dichiarare che non si tratta di una guerra di religione, con la stessa fermezza di un vaticanista invitato su Rai Tre, mi sono tranquillizzato: quindi, o questa non è una guerra o quella non è una religione.
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