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I sassi e gli attacchi a Gerusalemme

Redazione

Ci sono un colpevole evidente e un complice inconsapevole davanti agli eventi terribili che in queste settimane accadono a Gerusalemme est. Ieri un terrorista palestinese si è schiantato con un minivan contro un gruppo di pedoni vicino a una fermata del treno urbano.

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Ci sono un colpevole evidente e un complice inconsapevole davanti agli eventi terribili che in queste settimane accadono a Gerusalemme est. Ieri un terrorista palestinese si è schiantato con un minivan contro un gruppo di pedoni vicino a una fermata del treno urbano. Un uomo che lavorava come guardia di frontiera è stato ucciso, e ci sono 14 feriti, tre gravissimi. E’ il secondo attacco di questo tipo in due settimane, il 22 ottobre un’altra auto si buttò contro i pedoni, uccise una donna e una bimba di tre mesi. Nel mezzo, mercoledì scorso, c’è stato l’attentato contro l’attivista israeliano Yehuda Glick, attaccato con colpi di pistola e gravissimo in ospedale, e decine di casi minori, lanci di sassi, aggressioni contro gli ebrei che a Gerusalemme vanno avanti da mesi, senza mai fermarsi. Le autorità israeliane dalla settimana scorsa hanno chiuso e riaperto più volte la Spianata delle moschee al pubblico, ieri nel luogo più sacro della città ci sono stati lanci di pietre contro i non musulmani.

 

I terroristi di Hamas si sono complimentati con gli attentatori, che con l’estremismo palestinese avevano dei legami, ma le responsabilità ultime per questo stato di cose sono più a monte, e sono del presidente dell’Anp Abu Mazen. Lo ha detto ieri il premier israeliano Netanyahu, e lo ribadisce al Foglio, a margine di una tavola rotonda della Fondazione Magna Charta, l’ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, che aggiunge al quadro il complice inconsapevole: la comunità internazionale. “Negli ultimi cinque anni Abu Mazen si è rifiutato di parlare con Israele direttamente, e ha preferito rivolgersi alla comunità internazionale per cercare il riconoscimento del suo stato, anche se solo Israele può dare uno stato ai palestinesi”, dice Gilon. “La comunità internazionale, specie l’Europa, continua a dargli risultati”, e questo spinge Abu Mazen a lasciar morire il processo di pace con Israele. “Ma senza una road map, per quanto fragile come è stata in questi anni, i palestinesi non vedono un’alternativa al terrorismo di Hamas”, ci dice l’ambasciatore, “e ora Abu Mazen è passato a un nuovo livello, sta eccitando la violenza della popolazione. Quando incita a fare ‘qualsiasi cosa’ per difendere la Spianata delle moschee la gente lo prende alla lettera, ma la verità è che l’unico posto dove tutte le religioni possono pregare in pace è Israele”.

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[**Video_box_2**]A Gerusalemme però le violenze non sembrano fermarsi, mentre scricchiolano i rapporti tra Israele e l’alleato più solido, l’America, all’ombra di un accordo sul nucleare iraniano che, come dice Gilon, se dovesse dare a Teheran la Bomba sarebbe una minaccia molto più grande di quella dello Stato islamico. Ci sarà una Terza Intifada a Gerusalemme? “Spero di no, direi di no, ma è una speranza, non una certezza”, dice Gilon. E’ l’unico momento in cui l’ambasciatore ha un secondo di esitazione.

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