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Non solo 80 euro. Un'ideuzza fiscale per rilanciare i consumi

Enrico Nuzzo

Rischiare agendo è il solo modo per scongiurare la lenta agonia che si profila sullo sfondo. La sospensione dell’efficacia dei vincoli europei dev’essere funzionale a un piano di risanamento credibile.

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Al paese si continuano a chiedere "sacrifici". Eppure le condizioni dei conti pubblici, con periodicità ripetuta, continuano a sollecitarne di nuovi e aggiuntivi. Non si è fatto in tempo a varare misure che altre, all’orizzonte, si sono delineate. Pesantissimi sono i pedaggi ogni volta. La crisi (o il cambiamento di sistema?) ha reso evidente quanto pericoloso e incauto sia stato credere che il tasso di sviluppo, garantendo il solo pagamento degli interessi, avrebbe consentito il continuo, illimitato ricorso a nuovi prestiti. Le proporzioni del debito contratto sono abnormi: nessun governo ha infatti mai preso in considerazione l'idea di ridimensionarne gli spropositati livelli, che qualche istituzione pure si preoccupava di segnalare.

 

Se il tasso di crescita del pil è inferiore al saggio di interesse sul debito pubblico, quest’ultimo diventa insostenibile. L’elementare nozione, persino familiare agli studenti di economia, è stata ignorata da coloro che, nell’accensione (apparentemente indolore) di nuovi debiti, hanno ravvisato il segreto per lasciare in eredità ad altri – che ne hanno seguito diligentemente l’esempio - la soluzione ai problemi sul tavolo. Da tempo il nostro paese è a crescita negativa e/o pressoché nulla. Eppure il susseguirsi di manovre, costantemente accompagnate dalla richiesta di ulteriori sacrifici, è incessante, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti il progressivo peggioramento delle condizioni di vita, speranza e fiducia nel futuro bandite dai nostri confini, sorriso spento sul volto delle persone. Di manovre e manovrine, più o meno palesi, si muore. Nuovi balzelli assorbono ossigeno vitale.

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Perseverando nel prosciugare i risparmi di cittadini ed imprese, i consumi continuano a cadere, altre imprese chiudono, nuova disoccupazione si crea, innescando una spirale perversa, con ulteriore peggioramento dei livelli dei consumi e di quel che inevitabilmente ne segue, nei termini or ora descritti. Agganciare la ripresa alle condizioni indicate è semplicemente impossibile. Gli sventolati propositi di tagli alle spese – peraltro sulla carta, almeno in certa misura – senza affondare il bisturi dov’è necessario (pensioni, sanità, organici pubblici superaffollati, universo delle municipalizzate, etc) raggirano il cittadino. Un  Paese che spende ogni anno oltre 800 miliardi di euro, e altri con debito nuovo e aggiuntivo (sotto controllo?), e che si dimena per recuperare somme, in termini relativi, risibili (le centinaia di milioni, qualche miliardo, qualche decina di miliardi), tenuto conto del montante suindicato di spesa, svela all’universo mondo di essere allo stremo, favorendo gli speculatori.

 

L’Italia non ha bisogno delle ripetute aggiustatine ai conti pubblici, più o meno ricorrenti, per rispettare i vincoli, talvolta burocratici e ottusi (ma sono sempre tali?) che l’Europa impone. È tempo di interrogarsi sugli attuali livelli di welfare e di protezione sociale, sui centri di spesa e sulle strettoie che strangolano; è indispensabile svincolarsi dai parametri europei, in maniera condivisa, in misura concordata e per il tempo che occorre. Significative deroghe a quei parametri, e (si ripete) per durata adeguata, vanno pretese, fornendo quelle concrete dimostrazioni di affidabilità, non proprie e non del tutto abituali, fin qui, al modo d’essere dei nostri governanti. Uscire dal debito, cominciando a non contrarne altro, può essere un buon viatico, specie se saggiamente combinato con iniziative mirate, in un pacchetto organico di misure necessariamente collegate e calibrate. Non sono più rinviabili le privatizzazioni accorte, neutralizzando le forze che le hanno fin qui ostacolate (per conservare privilegi e/o per trarne profitto). E, soprattutto, vanno assunte repentine decisioni per stimolare energicamente la  crescita  economica, utilizzando, con efficacia e al meglio, tutto quanto è reclutabile a questo scopo, facendo a meno delle pastoie burocratiche attive in ogni comparto. Investimenti pubblici concentrati e mirati in infrastrutture e/o per mettere in sicurezza il territorio e quanto v’è di bello, e di unico al mondo, nella penisola, anche per favorire i flussi di turismo; fondi europei impiegati con oculatezza ed esclusivamente su obiettivi rilevanti; uso sapiente della leva fiscale. Una robusta detassazione di scopo, attuata vincolando l’alleggerimento del peso delle imposte ai soli contribuenti che destinano alla spesa, ai consumi, l’ammontare delle somme da versare all’erario (e/o parte di esse), può alimentare livelli sostenuti di domanda interna di beni e servizi, può ridare fiato alle imprese, può stimolare occupazione e crescita di pil, che riporta risorse allo Stato.

 

Rischiare agendo è il solo modo per scongiurare la lenta agonia che, rebus sic stantibus, si profila sullo sfondo. La sospensione dell’efficacia dei vincoli europei, in siffatto contesto, dev’essere funzionale a un piano di risanamento, pur se complesso, nel suo insieme concreto, credibile, bene articolato, congegnandovi anche qualche audace sortita. Si impone, allo stesso tempo, una risoluta assunzione di condotta dei governanti, condita di affidabilità e di impegni da rispettare. Serietà e competenza degli organi preposti e non solo la bontà del programma, ammesso che la politica riesca a definirne uno coerente con gli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche e di crescita economica, favoriscono l’avvio di un ciclo virtuoso, spazzando la zavorra che ne paralizza l’innesco.

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