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Bush racconta la storia del padre, aspettando il giudizio della Storia

Si pensava che George W. Bush nel tempo libero si limitasse a dipingere e a occuparsi della library presidenziale. Invece l’ex presidente da due anni sta scrivendo un libro su un tema, il padre, che non è certo inusuale in termini assoluti, ma lo diventa se l’autore e il soggetto sono stati entrambi presidenti degli Stati Uniti.

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New York. Si pensava che George W. Bush nel tempo libero si limitasse a dipingere, come suggerito da Winston Churchill ai leader in pensione, e a occuparsi della library presidenziale. Invece l’ex presidente da due anni sta scrivendo un libro su un tema, il padre, che non è certo inusuale in termini assoluti – i memoir famigliari abbondano nel mondo politico, Barack Obama è solo l’ultimo esempio – ma lo diventa se l’autore e il soggetto sono stati entrambi presidenti degli Stati Uniti. L’unica analogia nella storia americana è quella di John Quincy Adams, figlio del presidente John Adams, il quale però non ha scritto una sola riga a proposito del padre. La scelta è ancora più significativa se si considera che George H. W. Bush è stato uno dei pochi presidenti della storia recente a non pubblicare un libro di memorie, genere forse troppo trito per una personalità tanto originale. Il figlio riempirà i vuoti narrativi del padre. Il libro uscirà per l’editore Crown Publishing l’11 novembre, una settimana dopo le elezioni di midterm, e George W. ha iniziato a scriverlo quando ancora non c’era all’orizzonte un affare editoriale, probabilmente per iniziativa  squisitamente personale, tanto per ribadire ancora una volta che lui è “his own man”, come dicono gli americani.
Il presidente si è fatto aiutare da una schiera di ricercatori ed editor, ma le fonti dicono che la penna è la sua, non quella di un ghostwriter. Quando la bozza ha iniziato a prendere forma il superavvocato di Washington Bob Barnett si è preso cura dell’operazione editoriale, un inedito misto di storia personale e politica inevitabile in una famiglia dove i due registri narrativi sono indistinguibili. Ci sarà la guerra sul fronte Pacifico dove il padre ha combattuto, la nascita dell’impero petrolifero in Texas fondato da una famiglia di impeccabili new englander, ci sarà, naturalmente, la carriera politica, dal Palazzo di vetro alla Cina fino ai corridoi di Langley sotto l’Amministrazione Ford e poi su fino alla Casa Bianca, alla prima, popolarissima guerra del Golfo. Per coincidenza e destino, padre e figlio hanno combattuto lo stesso dittatore, Saddam Hussein, in circostanze  e secondo idee strategiche diametralmente opposte. Uno ristabiliva l’ordine internazionale schiaffeggiando e rimettendo al suo posto un satrapo invasore; l’altro faceva la guerra globale al terrore, operazione innervata di distinzioni morali e poco disponibile a fare compromessi con la storia.

 

Ci sarà certamente anche il famoso “read my lips: no new taxes”, la frase che ha seppellito le speranze di un secondo mandato per un presidente fino ad allora rispettato anche dagli avversari politici. La promessa tradita di non alzare le tasse ha istantaneamente esaurito il capitale elettorale. Non si sa ancora, invece, se il figlio si avventurerà nelle divergenze politiche con il padre. L’antipatia fra George H. W. e Donald Rumsfeld è nota, e si dice che quando il giovane Bush lo abbia scelto per guidare il Pentagono, il vecchio non l’abbia presa affatto bene. Ciò che lo ha convinto non è stato l’uomo, ma la sua dottrina: Rumsfeld immaginava un esercito molto più leggero e tecnologicamente avanzato, una ristrutturazione completa del pletorico apparato militare americano che avrebbe portato a una sana riduzione del budget. L’11 settembre ha fatto saltare tutti i calcoli, ma l’idea originaria aveva convinto Bush. Nel suo libro “Decision Points” accenna alle tensioni: “C’era una questione imbarazzante. Alcuni credevano che Donald avesse usato la sua influenza per convincere il presidente Ford a nominare papà a capo della Cia nel 1975 per toglierlo dalla corsa per la vicepresidenza. Non sapevo se fosse vero. Ma qualunque disaccordo lui e mio padre abbiano avuto venticinque anni prima non mi riguardava”. E nel rapporto “pubblico” fra padre e figlio ci sono anche disaccordi più recenti da illuminare, uno fra tutti il convinto sostegno del padre ai matrimoni gay, faccenda su cui il figlio si è sempre espresso con la caratteristica moral clarity. Forse la biografia sarà l’occasione per rileggere la storia dal punto di vista del padre, angolo non ancora esplorato che il figlio potrebbe illuminare, magari sfruttando l’occasione per un graduale ritorno sulla scena pubblica dopo gli anni passati ad aspettare pazientemente la riabilitazione da parte della storia. Nei giorni dell’uscita del libro si saprà anche se un terzo Bush, Jeb, deciderà di correre per la Casa Bianca.

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