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Non ci sono più le macchine del fango di una volta

Andrea Mercenaro

Una volta funzionavano seriamente grazie ai giornaloni, ma giornaloni davvero, alle tivù che pari-pari li copiavano, e ai magistrati che ispiravano il tutto. Nostalgia dei tempi gloriosi di Mani pulite e successivi

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Ah, la nostalgia. Il ricordo di quando le macchine del fango funzionavano seriamente grazie ai giornaloni, ma giornaloni davvero, alle tivù che pari-pari li copiavano, e ai magistrati che ispiravano il tutto. Nostalgia dei tempi gloriosi di Mani pulite e successivi. Con durevoli cascami. Di quando cioè, ricevuta la velina serale dai dintorni del dottor Borrelli, ma anche del dottor Caselli, il direttore del Corriere (Mieli Paolo), dell’Unità (Veltroni Walter), il facente funzioni di Repubblica (Polito Antonio, perfino Giannini Massimo, forse, ne ha sentito dire), più il direttore della Stampa di allora (Mauro Ezio), si telefonavano molto affettuosamente, giorno dopo giorno, per titolare insieme sui trionfi meritori delle Procure e massacrare insieme quei pochissimi (un nome per tutti, Facci Filippo) usciti dai binari. Scomparse, ma quanta nostalgia, le fuoriserie del fango di una volta, ecco quei vecchi autisti moraleggiare oggi non già sul Fatto, piccolo ma benemerito erede del patrimonio professionale costruito da loro stessi, bensì su alcuni i quali, privi di Procure, di giornaloni e di servizi, dicasi di tutti e tre, si erano sognati (brutto sogno) di poter costruire addirittura contro il Fatto un cazzo di triciclo.

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