Allerta per la siccità in Spagna (foto LaPresse)

No, il climate change non è la fine del mondo

Redazione

Perché i campioni dell’apocalisse non devono più perdere tempo con il clima

Gli allarmisti del clima si rianimano dopo l’uscita sul New York Times di un report scritto negli Stati Uniti da una commissione di scienziati appartenenti a 13 agenzie federali e in attesa dell’approvazione del presidente Donald Trump, che traccia dettagli raccapriccianti per il futuro del pianeta. Secondo le indiscrezioni del Times, gli scienziati portano nuove conferme alla natura antropica del riscaldamento globale, e dicono che ormai potrebbe essere troppo tardi per trovare rimedi: se per assurdo si interrompesse oggi l’emissione di gas serra in tutto il mondo, la temperatura mondiale aumenterebbe di 0,3 gradi rispetto al secolo passato, con effetti devastanti sul pianeta. Se dopo essersi ritirato dal trattato di Parigi Trump dovesse cestinare il report, potrebbe essere l’inizio della fine, fanno capire gli esperti.

  

Ma due ricercatori dell’Hoover Institution, David R. Henderson e John H. Cochrane, in un op-ed sul Wall Street Journal, hanno cercato di guardare alla questione con razionalità. Se anche fosse accertata la responsabilità umana dei cambiamenti climatici, i toni catastrofisti non sarebbero la soluzione a nessun problema. Piuttosto, bisogna riconoscere che altre crisi – da quella nucleare a quella economica, passando per i rischi di pandemie – avrebbero costi economici ben maggiori. I due hanno fatto i loro conti: in media i costi del cambiamento climatico ammonterebbero a circa il 10 per cento del pil americano dal 2100 in avanti, che significa uno 0,1 per cento di pil all’anno: molto meno della ricchezza perduta a causa delle limitazioni all’economia imposte dalle attuali politiche ambientali. Le società scompaiono per il caos, per le guerre, per le malattie: sono queste le sfide reali cui devono rispondere i cantori della retorica apocalittica.

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