Grafica di Enrico Cicchetti

una fogliata di libri

La forza dell'intuizione rende grandioso un romanzo breve

Marco Archetti

"Sazio di giorni" di Yoram Kaniuk (Giuntina) è un’esperienza di pura voluttà

In un’intervista a Claudio Lagomarsini del 13 maggio per La Balena bianca, Valeria Parrella rivendicava, con tutta l’intelligenza del caso, il romanzo breve non come forma intermedia ma come genere in sé. E citava la lunga prefazione di Juan José Saer a “Il pozzo” di J. C. Onetti (edizioni Sur), nella quale si legge che il romanzo breve sarebbe stata la forma di perfezione narrativa massima cui aspiravano i nuovi narratori latinoamericani nel 1960, forma poi soppiantata dalla popolarità di tutt’altro, ossia dalla prevalenza del Fronzolo caratterizzante il polpettonismo dei romanzi del realismo magico, sfornati in serie e a uso del mercato nordamericano ed europeo, romanzi che hanno contribuito (e qui è il sottoscritto che rampogna, non Saer) a scolpire nella mente del lettore un’idea grondante e oleografica di quella letteratura latina che, prima di sfornare i suoi mostruosi tapiri delle Ande con cortei bercianti di pappagalli arlecchini e cuculi scoiattoli, nientepopodimenoché alla condensazione si stava votando. 

 
Ma non deragliamo: quel che interessa, pungolati da Valeria Parrella, è parlare del romanzo breve. L’ultimo che rientri nella categoria e che ha letto il sottoscritto dopo quello di Onetti è Sazio di giorni” di Yoram Kaniuk, edito da Giuntina, un pugno di pagine – poco meno di ottanta – che sono un’esperienza di pura voluttà.

 

“In principio c’era il quasi”: comincia così, questo romanzo breve che però è un romanzo-fiume e ha per protagonista un tal Orlov, pittore fallito, pittore di morti, uno che dipinge defunti su commissione nel lasso di tempo tra il decesso e la sepoltura, figlio di un ebreo che ha consegnato ai nazisti sua madre e padre di un ragazzo arabo. Chiamato da una vedova a ritrarre un ricco industriale dal passato immorale, scopre di non essere così sconosciuto come crede, ma le ragioni saranno sorprendenti. (Altro vantaggio dei romanzi brevi è che le trame si possono riassumere in cinquanta parole, essendo costretti, i romanzobrevisti, a innescare senza perdersi in chiacchiere e a far detonare senza smarrire miccia e cerino).

 

In una sola notte, con una scrittura che vola e intreccia come una fuga di Bach e una maestria rara nella gestione dello spartito, tra l’uomo che dipinge e la donna che assiste si srotola la storia di un paese, di due generazioni di israeliani, di due vite sentimentali con tutto il repertorio di tradimenti, delusioni, figli e abbandoni, insomma, un romanzo breve che è musica, la musica triste e misteriosa e allegra della vita in una sola stanza, in una manciata di ore, con tanto di colpo di scena finale.

 

“Il pozzo” di Onetti e “Sazio di giorni” di Kaniuk hanno in comune la taglia ma opposti i codici narrativi, perché se uno è “la storia di un’anima senza gli avvenimenti con cui ha dovuto mescolarsi” (Onetti), il secondo è la mescolanza degli avvenimenti nella storia di un’anima. Due romanzi brevi da leggere uno dopo l’altro per godere di due mondi sterminati, di due viaggi vertiginosi, evocati a partire da una stanza chiusa.

 

“Se mi chiudi in una stanza io so che cosa farmene”, dice a un certo punto Valeria Parrella nell’intervista a Claudio Lagomarsini. Onetti e Kaniuk anche: perché le capacità di balzo del coniglio non dipendono dalle dimensioni del cilindro, ma dalla forza dell’intuizione, dalla precisione dello sguardo e dalle moltitudini che si concede l’anima.
 
 

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