La scoperta della currywurst

Giovanni Battistuzzi

La recensione del libro di Uwe Timm (Sellerio, 238 pp., 14 euro)

C’è un grande equivoco in Italia attorno alla salsa ketchup. Per la quasi totalità degli italiani è un lascito americano, arrivato nel nostro paese con i primi vagiti della globalizzazione. Peccato che tutto ciò sia falso. La salsa ketchup è arrivata da noi nella seconda metà dell’Ottocento, seguendo sì il tragitto della globalizzazione, ma della prima, quella ante litteram, quella del “primo imbastardimento, Dio solo sa quanto necessario, delle italiche cucine”, scriveva il cuoco Salvatore Ghinelli, autore nei primi anni Venti di uno dei libri di cucina più letti dell’epoca: L’apprendista cuciniere. E non è arrivato dall’America, ma dall’Inghilterra via Cina. Lì è nata e da lì è partita per raggiungere le cucine di tutto il mondo. Da noi la si iniziò a chiamare salsa checia o checciap, prima che il fascismo imponesse il più italico neologismo “salsa rubra”.

 

Negli stessi anni nei quali si diffuse il ketchup arrivarono pure i würstel. Pure questo un neologismo. In Germania e Austria si chiamano wurst o würstchen, l’equivalente della nostra “salsiccia”. E come la salsiccia è femminile: la wurst. Si iniziarono a mangiare in Friuli, a Venezia prima di raggiungere Milano.

 

L’unione tra salsa ketchup e wurst, con una aggiunta di curry, ha dato vita alla currywurst, pietanza che si è diffusa in gran parte della Germania e che la quasi totalità dei tedeschi è sicura sia nata a Berlino nei primi anni Cinquanta del Novecento, all’epoca del controllo angloamericano della parte ovest della città. D’altra parte il curry era prerogativa della cucina inglese delle colonie, il ketchup di quella americana e fare uno più uno fa sempre due. Quasi sempre. A mettere insieme due ingredienti pieni di equivoci va a finire che un altro almeno ne salta fuori a minare le certezze. Uwe Timm è uno scrittore che per naturale propensione si è sempre posto tra la realtà e la percezione della realtà, tra quello che è stato e quello che a noi è arrivato. Uno a cui piace non credere all’esistenza di certezze assolute, ma che considera ogni evento parte di un compromesso tra la volontà di penetrare a fondo delle questioni per comprenderle e la legittima facoltà di fregarsene di essere esegeti di ogni cosa e vivere una vita meno problematica. Sta a ciascuno scegliere e la scelta tra le due possibilità è in ogni modo ragionevole e saggia. Neppure lui, ha detto più volte, ha scelto davvero. Per questo racconta. E La scoperta della currywurst è un racconto. Un racconto dell’origine della currywurst che non è ambientato a Berlino ma ad Amburgo. Un racconto di guerra, la Seconda mondiale, e di Dopoguerra che è un divagare su storie marginali, periferiche a quella che chiamano con la S maiuscola, e proprio per questo interessanti. Una sorta di ricerca di un tempo perduto dove al dolce della madeleine si sostituisce una ben più sostanziosa currywurst e dove tutto fluisce molto più velocemente, senza spargimenti di parole, lascito gradito del Secolo breve.

  

Uwe Timm
La scoperta della currywurst

Sellerio, 238 pp., 14 euro 
 

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