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Giacomo Biffi. L’altro cardinale

Matteo Matzuzzi

Il libro di Arturo Testi, Edizioni studio domenicano, 144 pp., 13 euro

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Giacomo Biffi, prete, teologo, vescovo e cardinale, andrebbe studiato di più e proposto come modello per una chiesa che ogni tanto può apparire disorientata e attratta dal mainstream dal quale dovrebbe fuggire con orrore. Biffi metterebbe d’accordo tutti, cordate e tifoserie opposte. Intanto perché lui pensava che “per quanto male si pensi della Chiesa, bisogna riconoscere che in ogni caso è la cosa più pregiata che Dio, con tutta la sua sapienza e la sua potenza, ha saputo trarre da questa nostra terra polverosa (dopo la natura umana di Cristo e la Vergine Maria)”. E poi perché Biffi, che le idee le aveva chiarissime e non faceva mistero di quel che pensava, era lontanissimo da ogni deriva ideologica e da esasperati dogmatismi. Lo si comprende bene leggendo questo agile saggio scritto – su insistenza del secondo successore di Biffi a Bologna, il cardinale Matteo Zuppi – da mons. Arturo Testi, il “protosegretario” del prete ambrosiano che Giovanni Paolo II mandò a Bologna vincendo i dubbi e la pigrizia del prescelto – quando gli arrivò la comunicazione che a Roma era stato deciso di chiamare lui sulla cattedra di san Petronio, Biffi non rispose, pensando che la cosa fosse caduta lì.

 

Mons. Testi racconta in modo non organico – ed è un pregio del volume, si tratta infatti quasi d’un diario di memorie – il vescovo Giacomo nel privato, le sue giornate con la famiglia, i pranzi con gli ospiti, la puntualità con la quale si sedeva a tavola ogni volta che la Sandra preparava il risotto alla milanese. La scelta del vino fatta da lui personalmente, il lavoro all’alba (i giornali dovevano essere sul suo tavolo alle 5.30), le vacanze con gli amici Lattanzio e Giussani: mentre loro nuotavano “io componevo il quinto evangelo”. C’è perfino l’inciso sulla “cena alla polacca” del 1984 con Wojtyla in Vaticano – Biffi non apprezzò il menù, al punto che in aeroporto, tornando a Milano, mangiò davanti a tutti i due panini si era infilato nelle tasche della talare. E’ stato un uomo dotto, e per capirlo basterebbe leggere le sue opere o anche solo ammirare qualche pillola che si trova oggi su YouTube: nessuna lezione ex cathedra, solo chiacchierate tra amici su Cristo, la bellezza, la Storia. Ma soprattutto è stato un prete che fino alla fine s’è speso per la Chiesa che tanto ha amato e servito in modo intelligente. Negli ultimi anni di lui veniva sottolineata solo quasi la vis polemica e le controversie sul destino del Maometto affrescato in San Petronio. Non che gli dispiacesse, benché ogni protesta per quel presunto insulto all’islam finisse subito in quello che chiamava il “mio archivio privato”, cioè il cestino. Ma insomma. Biffi è stato colui che ha spiegato la visione cristiana del Pinocchio di Collodi, e tanto basterebbe per metterlo al riparo dalla banale catalogazione dei vescovi in una corrente piuttosto che in un’altra. Su un punto, Biffi, di certo non era disponibile a trattare: il cristianesimo, diceva, non è una religione: “Il cristianesimo, primariamente e per sé, è un un avvenimento, l’avvenimento del figlio di Dio che entra nella Storia, che muore e risorge per noi. Questo lo rende un caso assolutamente imparagonabile. Il cristianesimo è un fatto”. 

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Arturo Testi

Giacomo Biffi. L’altro cardinale

Edizioni studio domenicano, 144 pp., 13 euro

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