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Poemi anglosassoni

Edoardo Rialti

Le origini della poesia inglese nella raccolta di Lindau, 252 pp., 24 euro

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“C’erano canti e musiche: un vecchio Scylding, / che aveva appreso moltissime storie, / si mise a rievocare il remoto… Così là dentro, per tutto il giorno, ci demmo ai diletti, finché sugli uomini / scese una nuova notte”.

 

Un piccolo faro di luce, musica e festa, assediato dal buio della notte. E’ questa la costante cornice immaginativa dell’antica poesia anglosassone, sebbene la sua riserva di senso, il suo orizzonte spirituale si trasformi nel passaggio complesso dal paganesimo al cristianesimo. E’ a tale mondo di confine, nel quale vanno ricercate le radici “vere e profondamente coerenti” della letteratura inglese, come scriveva il curatore Roberto Sanesi, che è dedicata questa bella antologia. Vi si ripercorrono tutti i suoi registri stilistici, la sentenziosità proverbiale e l’epico-eroico, l’elegia, la curiosità zoologica, l’allegoria spirituale, il Vangelo rinarrato poeticamente, gli incantesimi superstiziosi, e se la traduzione deve necessariamente rinunciare alla forza allitterante della versificazione originale, può comunque riprodurre il fascino della kenning, lo stilema che fonde circonlocuzione e indovinello, per cui le immagini si presentano sempre in modo obliquo: il mare è dunque “la strada delle balene” e le frecce sono “serpi di guerra”. Un universo di dolente pessimismo, curvo sullo struggimento per le poche isole di bene, spesso relegate in un passato compromesso o irraggiungibile (“Andati sono ormai tutti  i  giorni di un tempo,  finite sono ormai tutte  le  pompe del regno della terra… La gloria giace abbattuta, la nobile  grandezza della terra invecchia e si avvizzisce; come gli uomini tutti che popolano il mondo; discende la vecchiaia su di loro”) in cui lo strazio e la disperazione si stemperano in cristiana rassegnazione e fiducia. Vi si incontrano frammenti suggestivi per ciò che lasciano immaginare della costruzione complessiva, come pilastri spezzati di qualche palazzo cancellato dal tempo, ma anche sezioni di vasti poemi tuttora completi, che si desidera andare a ricercare per godere della loro interezza. In questa malinconica saggezza, in questa ferocia guerriera, persino in questi primi accenni di understatement e humour sono i semi d’una delle tradizioni che hanno forgiato l’immaginario collettivo, fosse solo per la lingua che oggi costituisce la vulgata universale della rete. Elencare chi debba qualcosa a Beowulf o l’Errante vorrebbe dire condannarsi a stendere un elenco troppo lungo. Basti ricordare che J. R. R. Tolkien, il quale insegnava proprio questi testi a Oxford, si è ispirato e richiamato a essi per alcune delle sue immagini e strutture narrative più celebri, dal termine “signore degli anelli” stesso al percorso eroicomico dell’hobbit Bilbo, dalla spada Pungolo alla stella-marinaio Eärendil.

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Il consiglio è di fare come lui, quando irrompeva alla prima lezione e iniziava a recitare: Hwaet! Abbassare le luci, in una fredda sera d’inverno e, circondati da qualche amico e un boccale di birra, iniziare a leggere a voce alta.

 


 

Aa. vv.
Poemi anglosassoni
Lindau, 252 pp., 24 euro

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