Enrico Terrinoni, Aguaplano, 112 pp., 12 euro
In una delle sue poesie più celebri Yeats, ripercorrendo alcuni volti cari in una pinacoteca, affermava fiero che “questa non è la morta Irlanda della mia gioventù, ma l’Irlanda / immaginata dai poeti, terribile e gaia”. E’ un’immagine che si potrebbe estendere alla differenza tra il mero ricordo d’una realtà o esperienza, già lettera morta, facilmente ridotta a stereotipo selettivo, e la sua realtà viva, presente e persino potenzialmente futura, un’opzione dello sguardo implicita anche nel come decidiamo di relazionarci con la realtà spirituale e immaginativa di un popolo intero. La cultura irlandese è vistosamente imperniata proprio su tale dialettica tra l’incalzare vitale e tumultuoso dell’oggi e il suo riverbero in radici profonde, che attingono a orizzonti immaginativi ed espressivi davvero ancestrali (basti pensare alla scena nel Nora Webster di Tóibín in cui la protagonista torna a casa dopo essersi – per la prima volta nella sua vita e forse per la prima volta nella sua città del Dopoguerra – tinta i capelli dal parrucchiere). Ne nasce una strana musica, tanto collettiva che individuale, ed è proprio all’ascolto di questa corale “incompiuta” – cui si aggiungono via via nuovi assoli e motivi che riprendono, variano, riecheggiano e stravolgono i precedenti – che sono dedicati questi saggi e recensioni, a firma di un grande traduttore di Joyce e in cui trapela una sincera gratitudine che costituisce parte essenziale d’ogni studio autentico e rigoroso. Il leitmotiv con cui Terrinoni ripercorre la letteratura e alcune grandi svolte storico-politiche dell’isola di smeraldo è appunto lo sfaccettato manifestarsi di una libertà espressiva e sociale che si afferma dapprima “nelle” e poi “dalle” costrizioni, ricollocando autori spesso fin troppo isolati nella loro forza o magari superficialmente “britannicizzati” (basti pensare a Swift e Wilde) nell’orizzonte delle loro origini e della loro prima tradizione; un’identità antimoderna perché al tempo stesso “antichissima e contemporanea”, con le sue gioie e i suoi strazi (si pensi alla vexata quaestio della chiesa cattolica) e nella quale poesia e politica sono spesso tutt’uno, giacché entrambe ambiscono a interpretare e plasmare la realtà. Spesso gli scrittori hanno davvero sognato il futuro, e così hanno contribuito ad avvicinarlo. Un percorso di felici scoperte e riscoperte, che comprende Bram Stoker e il Dublin Lockout, il presidente Higgins e Séamus Heaney fatto di analisi a loro volta felicemente incompiute, perché fanno desiderare di leggere o rileggere ciò che affrontano e analizzano, esponendoci così di nuovo a una vastità che supera ogni previa definizione, ogni banalizzante cartolina riposta nella nostra memoria. Perché per ogni singolo autore, e persino ogni testo, vale quanto si sottolineava prima sulla cultura di un paese intero e che ben espresse Brendan Behan riferendosi alla propria ammirazione per un Beckett che ammetteva di non capire mai del tutto: “Io amo nuotare nell’oceano, ma questo non vuol dire che lo comprenda”.
IRLANDA. UN ROMANZO INCOMPIUTO
Enrico Terrinoni
Aguaplano, 112 pp., 12 euro