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Emil Zátopek

Giorgia Mecca

Rick Broadbent, 66thand2nd, 314 pp., 22 euro

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Emil Zátopek correva sempre. Sembrava un dannato, correva con la lingua di fuori, con gli occhi pieni di sofferenza, non si fermava mai. Non era bello da vedere, non importava, sarebbe diventato il migliore. A diciott’anni dalla sua morte, il giornalista e scrittore sportivo Rick Broadbent, in Emil Zátopek. Una vita straordinaria in tempi non ordinari, ripercorre la biografia del grande corridore cecoslovacco, capace di vincere in una sola Olimpiade, quella di Helsinki del 1952, tre medaglie d’oro e di stabilire tre primati olimpici.
Da bambino Emil giocava a calcio. Era un attaccante ma non segnava mai, la sua unica preoccupazione era quella di continuare a correre. Suo padre gli ripeteva sempre che lo sport è uno spreco di tempo, inutile e dannoso. Però un giorno gli aveva anche detto: “Una cosa che vale la pena di fare, vale la pena di farla bene”. Il ragazzo comincia a gareggiare nel 1941, a diciotto anni, e non smette più. Intanto, fuori dai campi, scoppia la Seconda guerra mondiale e si porta dietro stermini di massa, distruzioni, carestie e “occhi della morte in vita”. Manca il cibo, gli uomini fanno fatica a reggersi in piedi, a sopravvivere. Poi, un giorno di maggio del 1945, la guerra finisce. “Compagni, eccovi, finalmente”, sospira di sollievo Zátopek alle truppe dell’ Armata rossa che sono appena entrate a Zlìn per liberarla dai nazisti. “Di colpo la vita era diventata molto più bella”. L’uomo può ricominciare a correre, con il suo solito stile, “come se avesse un cappio al collo, lo spettacolo più spaventoso dai tempi di Frankenstein”. A un certo punto della gara, mentre i suoi avversari cominciavano ad ansimare, lui si chiedeva: “E se scattassi?”. Poi faceva un lungo respiro e partiva con sprint che duravano sessanta secondi.
Lo sport diventa una questione politica negli anni della Guerra fredda, e mentre a Londra i reduci trovano vergognoso che qualcuno pensi alle Olimpiadi mentre c’è una città intera da ricostruire, Zátopek diventa il simbolo della grandezza del regime comunista. Non può rifiutare di diventarlo, anche se non capisce come sia possibile che una sofferenza individuale e solitaria come la corsa possa trasformarsi in un’impresa collettiva. Il Partito ha sempre ragione, veglia e governa su di tutti. Lui non fa domande, gli basta continuare a correre. A Helsinki, nel 1952, vince tre ori olimpici, nei 5000 metri, nei 10000 e nei 42 chilometri. Non solo, in quello stesso anno assiste al trionfo di sua moglie Dana Ingrová nel lancio del giavellotto. “Dentro di me sapevo che non avrei mai più vissuto momenti così meravigliosi”. Dopo di lui l’atletica leggera subirà una rivoluzione e un’accelerazione di tempi. Dall’Etiopia e dal Senegal arriveranno atleti straordinari che frantumeranno ogni suo record. E’ il destino di chi corre quello di farsi superare, prima o poi. Zátopek non aveva un cronometro per misurare i suoi tempi. Gli bastava il suo istinto, e il suo istinto gli diceva che doveva correre come se nella vita non ci fosse nient’altro. Non è soltanto un libro di sport, perché non è mai soltanto sport quello che succede quando corri per quarantadue chilometri senza fermarti.

 

EMIL ZATOPEK
Rick Broadbent
66thand2nd, 314 pp., 22 euro

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