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recensioni foglianti

Doris, la ragazza misto seta

Simonetta Sciandivasci

Irmgard Keun
L’Orma, 200 pp., 16 euro

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Ai libri di Irmgard Keun, berlinese di Charlottenburg, sono successe due cose ridicole e terribili: i nazisti li proibirono (“letteratura nociva e inopportuna”) e i cretini insinuarono che fossero stati scritti da un maschio, perché una donna non avrebbe mai potuto scrivere romanzi di sconcertante intelligenza e bellezza e brio come erano i suoi. Ai nazisti fece causa e ai cretini non diede peso. Non aveva neanche trent’anni. I nazisti la arrestarono, esiliarono, infelicitarono a vita. Morì, dopo aver scritto e bevuto moltissimo, nel 1982, a settantasette anni. Vins Gallico ha tradotto, per L’Orma Editore, questo che è il suo romanzo più famoso (il secondo: cinquantamila copie vendute nelle prime settimane dall’uscita: numeroni, se si considera che era il ’32 e i tedeschi erano soprattutto disoccupati, malnutriti e una serie di altre cose che li abbagliarono sul conto di Hitler) ed è stato bravissimo a dare alla protagonista, Doris, una lingua festante, tagliente, affamata. Il tedesco è la lingua dell’amore, fa dire Milos Forman al suo Mozart, e noi che siamo italiani, e della Mitteleuropa conosciamo poco la dolcezza, fatichiamo a crederci. Il tedesco di Doris è addirittura la lingua dell’innamoramento, che è la condizione di questo romanzo e la ragione di tutte le azioni della sua protagonista. Doris fa la dattilografa e non le basta. Ha diciotto anni e un capo avvocato dai rimproveri del quale ha imparato a garantirsi l’immunità con qualche occhiolino e occhiatina sexy. Prima di lasciare il lavoro e partire per Berlino, dove ha intenzione di diventare una stella perché lei è “una bomba sotto ogni punto di vista”, spalle comprese, comincia a scrivere il suo libro. Vuole che inizi così: “Allora, io sono Doris, sono battezzata e cristiana e tutto quanto e soprattutto sono qui” e vuole che non sia un diario, ma la sceneggiatura di un film (siamo solo a pagina 10 di 198 e già è impossibile non caderle ai piedi, innamorati persi per sempre, perché Doris è come quella canzone di Luca Carboni con le ragazze che ti sorridono e di notte si accendono e si mettono quel vestito lì che ti sembra di essere al mare). Stella non diventa, a Berlino, sebbene lì tutto canti e i locali siano “pance di ubriachi” e le strade luccichino così tanto che sembra impossibile che qualcuno possa non luccicare a sua volta, e l’avventura di questo libro non è la sua cornice e non è la sua storia. Non è Doris che chiude a chiave la sua rivale per ottenere una parte a teatro, non è Doris che ruba un pellicciotto e lo trasforma nel suo migliore amico, non è neanche Doris che restituisce la vista a un cieco e che, peste che scaccia i poveracci con nomi da caciai, finisce col farsi mollare da un ricco ragazzo per bene. L’avventura sta nel modo in cui Doris fa di sé e della sua vita un esperimento degno di essere raccontato, senza accorgersi che il suo libro e la sua luce (la sua stella) sono nello sguardo che ha sul mondo. “I miei occhi sono aguzzi”, dice, ed è vero ed è per questo che lei prega Dio di darle solo una buona istruzione e la voce di un uomo che le dica “Doris, ho ragione io, le cose stanno così”, prendendosi lui tutta la fatica e lasciando a lei il meglio e il resto a cui per badare sia sufficiente “un po’ di rimmel”.

 

DORIS, LA RAGAZZA MISTO SETA
Irmgard Keun
L’Orma, 200 pp., 16 euro

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