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Girare “Via col vento”: altro che il costo di “una ragazza e una pistola”, come diceva Godard

Giampiero Mughini

Nella "Formula perfetta", lo studioso americano David Thomson ci racconta per pagine e pagine le malie, i protagonisti e gli spicchi di quel cinema americano che ha fatto da dorsale della settima arte. Con l'esempio del film più visto di sempre

In questo suo gran libro (La formula perfetta, Adelphi, 2022) in cui lo studioso americano David Thomson ci racconta per pagine e pagine le malie i protagonisti e gli spicchi di quel cinema americano che ha fatto da dorsale della settima arte, sì e no Thomson fa sua la dizione cara a Jean-Luc Godard, che bastasse il costo di una ragazza e una pistola per trarne un film. A lui interessa particolarmente il gigantesco apparato che sta dietro a ciascun film, il fiuto dei produttori e quali produttori, la quantità di soldi spesi in corso d’opera (il più delle volte il doppio o il triplo di quanto preventivato), le infinite correzioni della sceneggiatura, la qualità di quel bianco e nero fotografico che deve spezzare il buio della sala, azzeccare la scelta dell’attore che nel film deve fare “l’eroe” di turno, ad esempio il Gary Cooper di Mezzogiorno di fuoco, lui che era alto 1,91, aveva gli occhi blu e figura all’undicesimo posto nella graduatoria delle grandi star del cinema di tutti i tempi.

Valga per tutte la storia di come arrivò al pubblico Via col vento, forse il film più visto e celebrato di tutti i tempi. Una storia che Thomson (nato nel 1941) racconta in ogni suo dettaglio. All’origine del tutto c’è il produttore ebreo di origine lituana David O. Selznick (nato nel 1902), uno cui si attaglia a perfezione quello che Thomson conclama ad apertura del suo libro: “Nel giro di vent’anni o poco più una combriccola di stranieri, in maggioranza ebrei che parlavano un inglese approssimativo, scoprirono un gioco di luci che poteva, dicevano, rimpiazzare la realtà. Non erano millantatori, o imbonitori o imbroglioni (ancorché non del tutto indenni da queste esuberanti abitudini), ma profondamente estranei alla mentalità delle tredici colonie, ai rigidi standard della tradizione letteraria del New England, ai rigorosi precetti del Puritanesimo”. Già il padre di David O., Lewis J. Selznick, s’era dato alla carriera cinematografica nel 1912, quale general manager della Universal. Il figlio si chiamava in realtà David e basta, aggiunse la O puntata per distinguersi da uno zio omonimo. Più ancora David aveva sposato Irene Mayer, la figlia prediletta del mitologico produttore cinematografico anche lui ebreo Lazar Meir (nato nel 1882), quello che s’era dato come nome d’arte Louis B. Mayer e che aveva comprato a suo tempo i diritti di distribuzione di Nascita di una nazione, il film del 1915 che fa da data fondante del cinema americano. (Di Mayer, Thomson scrive così: “Louis B. era un uomo di mente aperta che teneva sempre in tasca un rotolo di monete, casomai ci fosse da comprare un’idea nuova. O una persona”). Tra marito e moglie, a casa Selznick il cinema lo si respirava assieme all’aria. Nel 1936, quando David con la O puntata compra i diritti cinematografici di un romanzo vendutissimo, il Via col vento della scrittrice americana Margaret Mitchell, ha al suo attivo già una ventina di film.

Quanto al regista del film, tutto lascia pensare debba essere George Cukor (nato nel 1899), a sua volta figlio di due immigrati ungheresi ebrei, uno che era di casa dai Selznick. E’ lui a girare un bel po’ di provini iniziali, a organizzare il casting, a scandagliare la rosa di candidate al ruolo della protagonista femminile. Si pappa la bellezza di 300 mila dollari per questi lavori, ma verrà estromesso dopo aver girato qualche scena. Mai nessuno aveva preso tanti soldi per non fare un film. Pare sia stato Clark Gable, il trentasettenne attore protagonista del film, a sconsigliare di utilizzarlo. Licenziato Cukor, venne prescelto Victor Fleming (nato nel 1889). Sul film sembrava tuttavia incombere una sorta di dannazione, dato che Fleming incappa in un esaurimento nervoso durante il quale viene brevemente sostituito da Sam Wood (nato nel 1883). E questo mentre la sceneggiatura iniziale di Sidney Howard viene rifatta e rifatta ancora, con relativa moltiplicazione dei costi. Altro che il costo di una ragazza e una pistola. Quanto alla scelta di Gable come protagonista maschile, su di lui non c’erano stati dubbi da parte di Selznick. Lo vuole lo vuole lo vuole. Né credo che uno solo dei milioni e milioni di spettatori del film abbia mai avuto dubbi sulla bontà di quella scelta. Gable viene dato in prestito dalla Metro Goldwin Mayer al cachet di 150 mila dollari, una cifra da capogiro per quei tempi. Tormentatissima su tutte era stata la scelta dell’attrice protagonista che desse volto e movenze al personaggio di Rossella O’Hara. Una ricerca durata il tempo di 1.400 provini e finché la scelta non cade sull’attrice britannica ventiseienne Vivien Leigh, quella la cui storia d’amore con Laurence Olivier stava per diventare leggenda. Eppure Clark, la Leigh e gli altri membri del cast artistico finirono per costare meno di un milione di dollari di allora, un quarto dei quattro milioni di dollari che sarebbe costato l’intero film. Selznyck ci aveva visto giusto. Thomson calcola che se un film siffatto utilizzasse oggi due attori di rango, due interpreti minori nonché un regista e uno sceneggiatore di prim’ordine, costerebbe per la sola parte artistica oltre 50 milioni di dollari “prima di avere girato una sola scena”.  

Nel dicembre 1939, quando l’Europa era già in guerra, il film venne offerto in prima assoluta a Atlanta. Nel solo primo anno di proiezioni negli Usa il noleggio di Via col vento fruttò 14 milioni di dollari. Nel 1989 il mercato americano aveva pagato alle varie riedizioni del film (che nel frattempo s’era guadagnato otto Oscar) 77 milioni e mezzo di dollari al valore attuale. Al 1987 i noleggi internazionali avevano toccato gli 870 milioni di dollari ai valori del 1987, e questo corrispondeva solo al 40 per cento degli incassi reali al botteghino. Non che si trattasse di “arte” (“Non ci si avvicina nemmeno”, scrive Thomson), ma che importa? E’ il cinema, bellezza.

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