Prigionieri alleati nella Roma occupata dai nazisti (Olycom)

Uffa!

La bomba di via Rasella contro i nazi fu un errore, con buona pace dell'Anpi

Giampiero Mughini

Non ebbe conseguenze importanti dal punto di vista militare e la rappresaglia tedesca dopo l'agguato costò la vita a 335 italiani. Le sorti di Roma si stavano decidendo sul fronte di Montecassino, dove i nazisti persero 20 mila uomini

Mario Fiorentini, il pluridecorato gappista romano oltre che matematico di gran vaglia morto il 9 agosto scorso a 103 anni era dunque nei paraggi dei suoi 70 anni le due o tre volte che una trentina d’anni fa ci incontrammo a una fermata dell’autobus dalle parti di Piazza Barberini e restammo a chiacchierare. Di che altro potevamo chiacchierare se non del micidiale agguato gappista di via Rasella, cui Fiorentini non aveva partecipato di persona ma di cui era stato l’ideatore? Ossesso come sono sempre stato da quell’episodio e dai suoi annessi e connessi, la rappresaglia tedesca che costò la vita a 335 italiani contro i 33 militi tedeschi uccisi dalla bomba partigiana di via Rasella, già allora avevo fatto mia la celeberrima uscita di Marco Pannella a un congresso romano del Pci che gli era valsa un diluvio di offese da parte dei comunisti italiani d’antan.

 

In quell’occasione Pannella aveva detto che se avesse avuto nel marzo 1944 l’età che avevano allora Fiorentini, Carlo Salinari (il comandante dei Gap romani), Antonello Trombadori, Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei e gli altri e le altre (fra cui Lucia Ottobrini, futura moglie di Fiorentini), certo che avrebbe preso parte all’agguato di via Rasella. Solo che quell’agguato, la cui entità non poteva non provocare la terrificante rappresaglia nazi, fu un colossale errore perché oltre che costare un subisso di ostaggi assassinati non incise in niente sulla fattualità dell’occupazione nazi di Roma. Era esattamente questa la mia opinione e ne discutemmo Fiorentini e io, le due o tre volte che ci trovammo l’uno di fronte all’altro. Con tutto che lui aveva 23 anni più di me ed era onusto di un grappolo di decorazioni militari guadagnate sul terreno del coraggio e dell’onore, mi si rivolgeva senza nessuna iattanza. Anzi, con una semplicità di cui ancor oggi mi stupisco e mi commuovo. 

Fiorentini e i suoi compagni – Trombadori e Bentivegna sono stati miei amici preziosi – furono dei combattenti temerari. La loro testimonianza militante fatta a rischio della vita è stata moralmente esemplare nell’Italia della guerra civile 1943-1945. Detto questo, ho trovato insopportabile la retorica dell’Anpi nel comunicato da loro emesso in morte di Fiorentini, dov’è scritto così: “L’uomo che durante i nove mesi di occupazione nazista sbaragliò, con le sue compagne e i suoi compagni, tre battaglioni nemici in pieno centro”. Il riferimento è al battaglione altoatesino che passava ogni giorno alla stessa ora da via Rasella e che venne travolto dalla bomba accesa pochi minuti prima da un Bentivegna camuffato da spazzino. In realtà erano truppe di seconda fila, gente che aveva appena concluso il suo addestramento militare. Va aggiunto che il loro comandante si rifiutò di eseguire la rappresaglia delle Ardeatine. All’esercito nazi che teneva in pugno Roma, l’attentato fece militarmente poco più che un baffo. 

A partire dal gennaio 1944 la sorte di Roma occupata la si stava giocando sul fronte di Montecassino, lì dove contavano gli aerei da bombardamento, i cannoni a lunga gittata, le mitragliatrici pesanti che dall’alto dell’abbazia falciavano le truppe alleate che andavano all’assalto. Tanto che il comando alleato decise di bombardare e ridurre in pezzi la prelibatissima abbazia fondata da San Benedetto nel VI secolo dopo Cristo. In quella battaglia gli alleati persero 55 mila uomini e i tedeschi 20 mila, altro che i 33 morti di via Rasella. Tanto per la cronaca, i soldati alleati che il 18 maggio 1944 arrivarono per primi a mettere i piedi sulle postazioni tedesche di Montecassino furono i soldati polacchi, che scoppiarono a piangere nel ricordo di quello che i nazi avevano fatto alla Polonia travolta nel 1940. Uno di quei soldati era il futuro scrittore polacco ashkenazita Gustaw Herling, uno che i gulag sovietici li aveva sperimentati di persona, quello che nel Dopoguerra avrebbe sposato una figlia di Benedetto Croce e di cui l’editoria italiana esitò a lungo prima di pubblicare i suoi libri che avevano il torto di essere anticomunisti e antirussi. E questo al tempo in cui l’intero Parlamento italiano (eccezion fatta per i missini) si alzò in piedi alla notizia che era morto Giuseppe Stalin, il maggiore criminale politico del Novecento nel senso che lui fece ai suoi connazionali quel che Adolf Hitler fece ai non tedeschi.

A Montecassino sì che i nazi furono “sbaragliati”, non certo dalla bomba di via Rasella. Quanto al calcolo del rapporto tra il risultato raggiunto dagli agguati partigiani a uomo e la successiva rappresaglia tedesca, fu un motivo ricorrente della Resistenza francese, il cui comandante in capo Charles de Gaulle raccomandava di rinunciare a quegli agguati contro vittime scelte a caso dato il costo in uomini della inevitabile vendetta tedesca. Spaventoso sarebbe stato difatti il bilancio finale degli agguati a uomo, 814 ostaggi francesi fucilati contro 25 soldati tedeschi uccisi. Ne era valsa la pena? L’azione partigiana più plateale di tutta la Seconda guerra mondiale fu quella intrapresa da un gruppo di eroici partigiani cecoslovacchi che si erano addestrati in Inghilterra. Si fecero paracadutare in Cecoslovacchia, attesero che alla mattina del 27 maggio 1942 passasse per la consueta strada di Praga l’auto su cui viaggiava (senza scorta) uno dei criminali nazi più in vista, quel famigerato Reinhard Heydrich che aveva fatto da primattore al momento della Conferenza di Wannsee in cui venne deciso lo sterminio degli ebrei, e riuscirono a colpirlo. Una ferita di cui lui morì qualche giorno dopo. In quell’occasione sì che era stato colpito un ripugnante simbolo del Male e non un battaglione di uomini che avevano il solo torto di indossare una divisa tedesca. I nazi distrussero poi l’intero commando partigiano nonché i 192 abitanti maschi di un villaggio cecoslovacco da cui pare provenisse uno di quei partigiani.