Uliano Lucas (LaPresse) 

uffa!

Speranza, furia, delirio. Foto per leggere l'Italia tra i Sessanta e i Settanta

Giampiero Mughini

Tommaso Musolini fu un piccolo editore che pubblicò il grande Uliano Lucas. Le sue foto hanno immortalato quel subbuglio a ogni angolo di strada della Milano, i pugni che scattano verso l’alto e le teste coperte dai caschi come di chi si apprestasse a una guerra, e quei morti di cui ricordiamo ancora i nomi

C’era una frase che Arrigo Benedetti, il direttore che fece da fondatore dell’Europeo e dell’Espresso, ripeteva spesso. Che chi prende in mano un giornale, un articolo lo “guarda” laddove una foto la “legge”. E voleva dire che una singola foto ha un potenziale espressivo e comunicativo dieci volte più forte che non le tante righe di un articolo. Non ricordo se fosse una frase sua o invece di Leo Longanesi, quello che nella redazione romana di Omnibus del 1937 aveva insegnato a Benedetti il mestiere di fare i settimanali d’attualità. Nel 1975, io giornalista principiante al Paese Sera ascoltavo a bocca aperta Arrigo Benedetti – cui il Pci aveva affidato la direzione del quotidiano romano – mentre ci raccontava come Longanesi era solito scegliere una foto per poi “tagliarla” a renderla ancora più acuminata una volta stampata sulle pagine di Omnibus. 

Quando ho visto che nel suo catalogo più recente la libreria antiquaria dei fratelli bresciani Paolo e Bruno Tonini offriva un libro-catalogo di Uliano Lucas dal titolo Cinque anni a Milano edito da Tommaso Musolini nel novembre 1973, ci ho messo trenta secondi a decidere di comprarlo. E questo per un numero infinito di ragioni. Perché i libri di foto li prediligo su tutti da quanto per l’appunto vanno “letti” e non soltanto “guardati”. Da quanto apprezzo il lavoro di fotoreporter che Lucas (nato a Milano nel 1942) aveva svolto nel rovente tempo italiano tra Sessanta e Settanta. Da quanto mi commuove il ricordo di quella via Pianezza 14 dov’era la tipografia torinese di Musolini e dove stamparono tra “inverno 1971” e “primavera 1972” i numeri 29 e 30 di Giovane critica, la rivista che avevo fondato a Catania nel 1963 e che dal 1970 si stampava a Roma, la città dove ero andato a vivere nel gennaio 1970. C’era che in quei miei primissimi anni romani avevo a stento di che mangiare due volte al giorno, e dunque sopportare i costi editoriali della rivista mi era divenuto impervio. Se non sbaglio fu Vittorio Foa a indicarmi il nome dell’editore Musolini, il quale proveniva dalla storia politica del Psiup. E difatti ci accordammo facilmente. Solo che io ero giunto esattamente al punto in cui stavo avviando la “revisione” del mio tracciato politico-culturale, ossia il congedo dai territori extraparlamentari che erano stati i miei.

Sui numeri di Giovane critica comparivano adesso i nomi sonanti di Giorgio Amendola, Antonio Giolitti, Giorgio Ruffolo, Riccardo Lombardi, insomma i nomi cardine di quel “revisionismo socialista” al quale avrei dedicato pochi anni dopo il mio primo libro. Il sodalizio con Tommaso si ruppe subito, non appena lui vide che era Fabrizio Cicchitto a inaugurare il secondo dei numeri da lui editi. Non spenderò neppure mezza parola a dire chi di noi due avesse ragione; la cosa importante è che il mio affetto per Tommaso rimase immutato al di là dei nostri dissensi, e che mi sentii in colpa con lui quando mi telefonò alcuni anni dopo, alla fine dei Settanta, e mi chiese se potevo aiutarlo a trovare un editore che gli comprasse i libri e librini che lui aveva edito nei Settanta e che gli erano rimasti in magazzino. Solo che era impossibile  trovare qualcuno che trovasse editorialmente appetitosi titoli quali Le commissioni operaie spagnole oppure Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese. Tommaso mi aveva chiesto di rivolgermi a Valerio Riva, lo avessi fatto già sento le sue parole di scherno.

Laddove il libro di foto di Lucas che ho appena comprato resta vero e importante e stavo per dire indispensabile, e questo proprio per la diversa semantica espressiva tra una foto e un testo scritto. (In questo momento ne esistono quattro o cinque copie offerte su Amazon).  I “cinque anni a Milano” si svolsero effettivamente e drammaticamente come le belle foto di Lucas testimoniano e non smettono di ricordarci. Avevamo davvero noi tutti ventenni e trentenni quei volti lì tra furia e speranza, c’era davvero quel subbuglio a ogni angolo di strada della Milano a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, ci sono le foto di quei pugni che scattano verso l’alto e di quelle teste coperte dai caschi come di chi si apprestasse a una guerra, e c’erano purtroppo quei morti di cui ricordiamo ancora i nomi.

C’è la foto di Pio Baldelli, il direttore responsabile di Lotta continua, seduto in tribunale vestito di un maglione mentre si stava svolgendo il processo intentato contro di lui da Luigi Calabresi in risposta alle accuse del quotidiano extraparlamentare che lo additava come il “maggiore responsabile” della caduta di Giuseppe Pinelli dal terzo piano della questura di Milano. C’è la foto dello spiazzo milanese bagnato dal sangue su cui Luigi Calabresi aveva parcheggiato la sua auto innanzi a casa sua e dove lo raggiunse un assassino che gli sparò un colpo alla testa e un colpo alle spalle, c’è la foto di un giovane Bruno Trentin con la pipa in bocca seduto a un tavolo dove si appresta ad avviare il confronto intellettuale con chi gli si opporrà “da sinistra”,  c’è la bellissima Sibilla Melega i cui lunghi capelli le coprono il volto mentre lei si sta rivolgendo a un Giangiacomo Feltrinelli che appare incredibilmente giovane, ma c’è anche la foto raccapricciante del suo cadavere sventrato ai piedi del fatale traliccio. E sulle fiancate di quell’Italia e di quella Milano ci sono le scritte, catturate una a una dalle foto di Lucas, che fecero da stenogrammi del delirio di una generazione, atroci puttanate quali “DEMOCRAZIA E’ IL FUCILE IN SPALLA AGLI OPERAI POTERE OPERAIO”, “VIVA  MAO-LENIN-MARX E STALIN”, “LO STATO BORGHESE SI ABBATTE NON SI CAMBIA”, “IL SUD E’ GIA’ IL NOSTRO VIETNAM”.

P.s. Purtroppo il nostro settimanale appuntamento si interrompe qui e per due mesi. Sono preso alla gola dal momento più difficile di costruzione del mio prossimo libro. Ci rivedremo al primo martedì di giugno. Mi mancherete molto.