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Uffa!

Non si capisce il secolo letterario parigino senza passare da Gallimard

Giampiero Mughini

Il no (con retromarcia) a Proust, la rivalità con Grasset
 

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Da un punto di vista culturale e letterario il Novecento è stato il gran secolo parigino, e questo almeno fino ai primi anni Sessanta, e dunque studiare il peso che in quella cultura e in quella letteratura ebbe la casa editrice Gallimard – la casa editrice che marcò di sé quell’egemonia – è altrettanto necessario che studiare la Germania di Adolf Hitler se vuoi comprendere le cause della Seconda guerra mondiale, oppure studiare la potenza americana negli anni immediatamente successivi a quelli in cui gli avieri e marinai statunitensi avevano vinto la guerra contro il Giappone e quella contro i nazi. Ecco perché da tempo non vedevo l’ora di leggere il tomone che un giornalista e scrittore francese dei miei preferiti, l’ubiquo Pierre Assouline (nato a Casablanca nel 1953), aveva dedicato nel 1984 a Gaston Gallimard (il fondatore della casa editrice) per poi rivederlo e ampliarlo nel 2006. Attirato da un’offerta di quest’ultima edizione in livre de poche mi sono avventato su un libro che ha tanti anni sulle spalle ma non li dimostra affatto. 

 

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E dire che gli esordi della casa editrice furono segnati da uno dei suoi eventi più infelici, l’aver detto di no a un ancor poco noto Marcel Proust (nato a Parigi nel 1871) che nel 1912 aveva offerto alla neonata Gallimard il primo tomo della Recherche, “Du côté de chez Swann”, a patto che chi pubblicasse quel libro si impegnasse a pubblicare tutto il resto della chilometrica saga destinata a restare una delle vette dell’intero Novecento letterario. Quella che verrà poi chiamata Maison d’édition Gallimard era ancora un gruppo di amici legati assieme dall’amore per la letteratura e non esattamente un’azienda (lo diverrà nel 1919). Il primattore di quel gruppo di amici, Gaston Gallimard, era nato nel 1881 da una famiglia di borghesia agiata e colta. Suo padre collezionava libri e quadri impressionisti. Innamoratissimo della letteratura e del teatro, Gaston aveva fatto di tutto pur di scansare l’andata in guerra, una guerra che considerava una follia punto e basta. Nelle immancabili conversazioni parigine a cavallo tra i due secoli, conversazioni che opponevano quanti reputavano colpevole di tradimento l’ufficiale ebreo Alfred Dreyfus e quanti lo ritenevano innocente, lui faceva parte dei secondi. A fungere da molecola originaria della casa editrice fu l’attività di una rivista culturale destinata alla leggenda, la Nouvelle Revue Française, e dunque il gruppo di letterati che la animavano, il cui personaggio più rilevante era André Gide

 

Ebbene è proprio lui, omosessuale come Proust, a leggere alla men peggio il manoscritto, a dire di no, che in quel suo romanzo ci sono troppe “duchesses”, che è roba poco interessante per la stragrande maggioranza del pubblico. Proust gira il suo manoscritto a un editore parigino già noto, Bernard Grasset, il quale accetta di pubblicarlo beninteso a spese dell’autore. È uno dei casi letterari più famosi del secolo. Grasset ne pubblica un’edizione di 1.750 copie che si vende così e così, e del resto è un’epoca in cui non sono tanti i libri le cui vendite superano le mille copie. Finché nel gruppo degli amici di Gallimard ci si rende conto della cantonata enorme che hanno preso e supplicano Proust di riaffidare alla Gallimard tanto il primo tomo già pubblicato quanto il restante della Recherche. Grasset si fa pagare care le 600 copie che aveva ancora in magazzino e che quelli della Gallimard vengono a riprendersi salvo ricopertinarle e pubblicarle con il marchio della Gallimard. Nel 1919 il secondo tomo della Recherche, “À l’ombre des jeunes filles en fleurs”, vince il premio Goncourt. Ho visto una volta l’intera Recherche in prima edizione (a comprarla oggi ci vorrebbero 70 mila euro), nella casa parigina di Roger Stéphane al VII arrondissement e ricordo la sua fierezza nel mostrarmela. Poco prima di suicidarsi (il 4 novembre 1994) scrisse a un amico che per vivere gli restava solo l’eventuale ricavato dalla vendita della sua collezione di prime edizioni del Novecento letterario francese.

 

Assouline racconta benissimo la topografia della società letteraria francese a partire dai secondi anni Venti, le lotte furibonde tra le varie case editrici ad assicurarsi gli scrittori più rinomati, le invidie rabbiose di tanti contro l’egemonia dei “gallimardeux”, la nascita del comitato di lettura della Gallimard dove siede la crema della cultura francese, quelli che decideranno senza appello se mandare all’inferno o in paradiso il manoscritto di un autore e contro il quale tuona l’immancabile Louis-Ferdinand Céline che li taccia di “pédérastes” e “alcooliques”, il complicato rapporto umano e professionale di Gallimard con quello che entra in casa editrice nel 1920 a 36 anni e che ne diventerà più tardi e fino alla morte (nel 1968) l’incontrastato sovrano intellettuale, Jean Paulhan.

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La contesa su chi dovesse editare i romanzi di Proust era stato solo il primo episodio di una guerra editoriale tra Gallimard e Grasset (oltretutto coetanei) che prosegue per tutti gli anni Venti e Trenta. Un autore che già nel 1928 Gallimard vuole “rubare” a tutti i costi al rivale è André Malraux (nato a Parigi nel 1901), il quale aveva pubblicato con Grasset tre successivi libri tutti di buon successo, l’ultimo dei quali la Voie royale del 1930. A questo punto Gallimard fa di tutto pur di accaparrarsi un Malraux  contrattualmente libero. Ci riesce. E afferra all’amo il libro capitale di Malraux, La Condition humaine che nel 1933 si aggiudica il premio Goncourt. Gallimard aveva un dono in più di Grasset, di cui Assoline dice che mentiva sfrontatamente, lui sapeva mentire seduttivamente. Una volta si trovò di fronte uno che gli teneva testa, Georges Simenon, al quale riuscì a far scrivere per la Gallimard una cinquantina di libri. Non di più.

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