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Vittoria metropolitana

Ispirò Carducci e D'Annunzio

Michele Masneri

Restaurata l’opera romana simbolo di Brescia, in un museo dall’allestimento nuovo di zecca, con opere contemporanee nel metrò

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La Vittoria alata torna a Brescia dopo due anni di restauri. La statuona identitaria della città lombarda, amata dal Carducci che la celebrò nell’ode “Alla Vittoria”, (quella del “Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia beverata nel sangue nemico”) torna tirata  a lucido in un nuovo fiammante museo nel centro storico di Brescia. Ammirata da D’Annunzio che aveva delle teorie tutte sue a proposito, e da Napoleone III che ne volle una copia, torna in esposizione nel Capitolium (sito Unesco, il foro romano di Brescia; sì, Brescia ha un foro romano, i più provocatori dicono che è meglio di quello di Roma: è un tempio, e non un mercato; e qui, genius loci spiritual-guerresco della città poi di Papa Montini. Di sicuro questo foro è tenuto meglio e con le sue piazze rinascimentali intorno è di più araldica perfezione, comunque).

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La Vittoria alata torna a Brescia dopo due anni di restauri. La statuona identitaria della città lombarda, amata dal Carducci che la celebrò nell’ode “Alla Vittoria”, (quella del “Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia beverata nel sangue nemico”) torna tirata  a lucido in un nuovo fiammante museo nel centro storico di Brescia. Ammirata da D’Annunzio che aveva delle teorie tutte sue a proposito, e da Napoleone III che ne volle una copia, torna in esposizione nel Capitolium (sito Unesco, il foro romano di Brescia; sì, Brescia ha un foro romano, i più provocatori dicono che è meglio di quello di Roma: è un tempio, e non un mercato; e qui, genius loci spiritual-guerresco della città poi di Papa Montini. Di sicuro questo foro è tenuto meglio e con le sue piazze rinascimentali intorno è di più araldica perfezione, comunque).

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Doveva aprire a ottobre, il nuovo allestimento nel Capitolium, in un allestimento museale progettato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg (già creatore del centro congressi di Salamanca, e della biblioteca Hertziana di Roma), ma poi è saltato tutto e riaprirà quando si potrà.

 

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La Vittoria alata venne ritrovata insieme a sei teste di età imperiale e a centinaia di altri reperti in bronzo nel 1826, durante gli scavi archeologici condotti nell’area dai membri dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, in un’intercapedine dell’antico tempio, dove forse era stata occultata per preservarla da eventuali distruzioni. La scultura, realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa indiretta, è databile intorno alla metà del I secolo dopo Cristo, forse ispirata a modelli più antichi. Ha avuto varie vicissitudini, occultata a palazzo Venezia durante la Prima guerra mondiale e in giardini di ville patrizie complici durante la Seconda. Adesso torna dopo un lungo rehab all’Opificio delle Pietre dure di Firenze.

 

Per festeggiarla, la statuona alata ma possente (origini incerte: forse un dono dell’imperatore Vespasiano alla città che gli aveva garantito l’investitura a imperatore contro Vitellio; ma bronzo quasi certamente del distretto bresciano, dove da sempre si producono metalli cari alla patria per i più svariati usi) doveva essere protagonista anche di una specie di rito, a chiusura della fase dolorosa del Covid (che per prima ha visto la città lombarda falcidiata ): pazienza, se ne riparlerà presto.

 

Per quel momento la Fondazione Brescia Musei ha pronto un ricco palinsesto al Museo di Santa Giulia e al Capitolium: oltre a una grande mostra sulla stessa Vittoria alata, ce ne sarà una dedicata a “Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura, scultura. In un campo di energia e processo”, a cura di Pierre-Alain Croset (fino al 5 aprile 2021); Poi “Emilio Isgrò. Incancellabile Vittoria; Fermata ‘Stazione FS’ della Metropolitana di Brescia”, a cura di Marco Bazzini (dal 27 ottobre 2020); già, Brescia ha pure una metropolitana, e del tipo napoletano-danese (napoletana per le opere d’arte, danese per tecnologia, con convogli senza conducente). E “Alfred Seiland. Imperium Romanum. Fotografie 2005–2020”, a cura di Filippo Maggia e Francesca Morandini (5 marzo-18 luglio 2021); e poi soprattutto “Palcoscenici archeologici”, intervento del bresciano-globale Francesco Vezzoli.

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“Sono onorato di aver ricevuto questo incarico”, dice al Foglio Vezzoli, che da tempo si dedica al dialogo tra sculture antiche e contemporaneità. Adesso qui metterà una sua Nike metafisica con testa dechirichiana, “la mia idea di Vittoria alata”. Ci saranno poi altre opere come “The eternal kiss” insieme alla croce di Re Desiderio, il re longobardo già caro a Manzoni, e poi probabilmente la “Sophia Loren as the muse of antiquity (after Giorgio De Chirico)”, musa inquieta anche qui surrealista. “L’idea è di segnare tutto il percorso con una specie di punteggiatura, un contrappunto alla materia prima che c’è già”, dice Vezzoli, particolarmente a suo agio oltre che per geografia affettiva anche per quella che definisce la sua “ossessione per i bronzi”. “La maggior parte delle sculture romane, anche le più belle, al posto degli occhi hanno due mandorle vuote, manca il contatto visuale, l’eye contact così importante nella comunicazione, che sia una copertina di Vogue o una scultura di duemila anni fa”. “Le sculture di bronzo, a differenza di quelle marmoree, hanno invece occhi incisi o in pasta vitrea, che in alcuni rarissimi casi sono rimasti. Sono quindi delle sculture in cui la carnalità e l’emotività sono rimaste più vive. Riace, il Pugilatore, la Vittoria alata, superano i loro equivalenti in marmo, perché la loro capacità di comunicare è rimasta intatta. Il Pugilatore se fosse di marmo bianco non sarebbe la stessa cosa”.

 “La Vittoria alata bresciana”, sostiene Vezzoli, “è poi uno dei dieci bronzi femminili più belli che esistano al mondo. E uno dei pochissimi che possegga questa integrità”: Integrità che è stata confermata dagli studi e dal restauro, afferma Francesca Bazoli, presidente di Brescia Musei. “A lungo si è dubitato che fosse originale” dice Bazoli. “Si dubitava per esempio che le ali facessero parte della scrittura originaria. Lo stesso d’Annunzio sosteneva che la vera Vittoria dovesse essere guerresca e senza ali. Simbolo virile, ‘mascula’, e infatti la copia che volle per sé al Vittoriale è senza ali. Invece questi anni di studi hanno confermato che l’opera è assolutamente originale, del primo secolo dopo Cristo”.

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Ma ognuno ha diritto alla sua Nike: quando fu scoperta, nell’Ottocento, la Vittoria alata bresciana dette vita a una moda archeologica: copie più o meno riuscite vennero richieste e sono sparse in ogni dove: dall’Università di Cambridge  al Louvre; perfino al castello Hearst in California, dove non erano molto puristi. 

 

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