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Ma aleggia lo spettro del cartellino

L'enigma dell'ufficio

Michele Masneri

Classico, remoto o smart? Col Covid si fugge dagli spazi tradizionali e trionfano soluzioni fantasiose (compreso il lavoro in spiaggia)

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Sarà capitato anche a voi: tra le mille inserzioni che vi compaiono tra le storie di Instagram, che guardiamo per capire quanto sia veramente intelligente l’algoritmo, in questi giorni arrivano cose strane: a me, tra pubblicità di cartongessisti e falegnami (l’algoritmo deve aver capito la mia passione per le case), è spuntata la pubblicità di un albergo a Pantelleria, che offre soggiorni di due mesi a prezzi scontati, “con ottimo wi-fi”. Ora, fare turismo a Pantelleria a metà novembre pare chiaramente una bizzarria, dunque, anche se l’annuncio non lo specifica, è chiaro che anche l’isola siciliana si offre al pregiato mercato del “remote working”, come si dice nei paesi anglosassoni, subito rinominato da noi “smart working”, perché oltre a non sapere l’inglese ci reputiamo più smart degli altri.

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Sarà capitato anche a voi: tra le mille inserzioni che vi compaiono tra le storie di Instagram, che guardiamo per capire quanto sia veramente intelligente l’algoritmo, in questi giorni arrivano cose strane: a me, tra pubblicità di cartongessisti e falegnami (l’algoritmo deve aver capito la mia passione per le case), è spuntata la pubblicità di un albergo a Pantelleria, che offre soggiorni di due mesi a prezzi scontati, “con ottimo wi-fi”. Ora, fare turismo a Pantelleria a metà novembre pare chiaramente una bizzarria, dunque, anche se l’annuncio non lo specifica, è chiaro che anche l’isola siciliana si offre al pregiato mercato del “remote working”, come si dice nei paesi anglosassoni, subito rinominato da noi “smart working”, perché oltre a non sapere l’inglese ci reputiamo più smart degli altri.

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Così è una gara: c’è Atene che offre il 50 per cento di sconto sulle tasse per chi vi sposterà lavoro e domicilio per sette anni. La Spagna risponde con le Canarie, che pur avendo un tasso di Covid bassissimo (37 casi per 100.000 abitanti), hanno visto un crollo mostruoso del pil (meno 21 per cento) perché ovviamente nessuno viaggia. Quindi puntano ad attrarre 30.000 lavoratori digitali (magari quelli pregiati della Silicon Valley, che non torneranno mai più in ufficio e che coi loro micidiali stipendi sono in grado di sostenere anche le economie più disastrate). Ce n’è per tutti i gusti: le Barbados offrono visti di lavoro annuali per 2.000 dollari, le isole Cayman, per smart-evasori, danno un visto biennale per 1500 dollari (ma a patto di guadagnarne centomila l’anno almeno). Insomma, per chi può viaggiare col suo computerino è una manna: per chi invece è costretto a rimanere in città,  è più problematico. A Milano il sindaco Sala intimava: “tornate in ufficio!”, anche per difendere l’indotto di baretti e insalaterie. A Roma, leggende metropolitane sostengono che vi siano ormai liste d’attesa di anni per avere un documento, data l’interpretazione diciamo estensiva dello smart working attuata dagli uffici pubblici.

 

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Però pure il povero impiegato comunale a casa non se la passerà benissimo: non c’è solo la zoom-fatigue ma la suocera-fatigue, e cani, figli, mogli e mariti con cui non si era più abituati a interagire,e poi soprattutto  la mancanza di spazio (anche qui, si può pensare ad appartamenti più grandi). Così, ci si attrezza: se nella prima ondata  si è imparato a zoomare apprendendo le basi del mestiere, diventando tutti dei piccoli Storaro ferrati sulla differenza tra luci calde e fredde (le migliori menti della mia generazione sono ormai dotate di “light ring”, anello illuminante che ti spara la luce in faccia, sui trenta euro su Amazon), ora ci sono aziende specializzate e tutto un trend per riadattare gli spazi di casa in maniera più strutturale. Secondo il New York Times, l’immobiliare, settore che è uno dei più restii ad aprirsi alla tecnologia, adesso finalmente fa un passo avanti. Ci sono compagnie che producono letti che si sollevano elettricamente, divani che scompaiono sotto scrivanie, ingranaggi che celano toilette, armadi che calano con pulegge dal soffitto. Il risultato è che sembra di vivere nella casa di Renato Pozzetto  nel “Ragazzo di campagna”. Ori, startup newyorchese che produce mobili robotizzati, ha librerie che scorrono autonomamente ampliando e restringendo uffici come quello del funzionario Rai nella Terrazza di Scola: sta riscuotendo enorme successo. Il mobile-ufficio base, che comprende letto, scrivania e libreria, ottimo anche per zoomate con fondale finnico, parte però da diecimila dollari.

 

Costi bestiali: e così per chi proprio non si può permettere né la casa più grande, né l’isola tropicale, e in ufficio non ci può andare, rimangono solo i bar o i coworking. Posti, questi ultimi, che sembravano spacciati con la prima ondata del Covid, anche dopo la débâcle del più grande gruppo del settore, Wework. Classica storia di ascesa e caduta: un fondatore, Adam Neumann, che pareva uscito da un film sulla Silicon Valley; belloccione, sposato a una cugina di Gwyneth Paltrow, aerei privati e  valutazione di Borsa 47 miliardi (poi crollata, collocamento rimandato, si è capito che il business non era tanto sostenibile e lui un po’ un cialtrone). L’idea era prendere dei casermoni, risistemarli e trasformarli in luoghi attraentemente attrezzati da affittare scaltramente a startupper e freelance in cerca di un tavolo e di una connessione, con wi-fi veloce e distributori di cereali, in un contesto omogeneo di gioventù digitalizzata e creativa, senza posto fisso e senza fissa dimora: ci sono anche dei manuali su come acchiappare, a WeWork. Ora sul crollo è uscito anche il consueto librone (“Billion dollar loser”, di Reeves Wiedeman).

 

Tutto sembrava finito, per queste saghe, ma poi è arrivato il Covid, e per chi non ha isole dove fuggire, né letti robotizzati da installare, il coworking (magari dotato di terrazzoni ariosi) pare l’ultima spiaggia, data anche l’attitudine del barista medio italiano, che ti caccia dopo mezz’ora ed è gelosissimo del suo wi-fi. Così in Italia il più grande gruppo del coworking, Talent Garden, non ha previsioni catastrofiche, anzi: “noi al momento abbiamo tantissime richieste”, mi dice Lorenzo Maternini, co-fondatore e country manager Italia. “Richieste che non vengono dai settori abituali, cioè le startup digitali. Bensì dai liberi professionisti, o da freelance, oppure da aziende normali”. Tutti in fuga sia da casa che dall’ufficio tradizionale. “Perché quello che in molti chiamano smart working, cioè lavorare da casa e fare degli zoom, non è infatti smart working, è home working, e non ha grande futuro”, dice l’imprenditore. Oltre ai congiunti tra i piedi c’è pure il fatto che in Italia “le aziende non sono pronte, culturalmente, e dal punto di vista contrattuale”. Se a casa è insomma tutto sulla fiducia, nei coworking è possibile tenere d’occhio i dipendenti, con un sistema di badge, cioè l’eterno cartellino: ma a quel punto, però, potrebbe spuntare improvvisa una gran nostalgia del vecchio, analogico ufficio.

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