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Zoo con falce e martello

Lorenza Baroncelli

60 anni di arte, design, architettura e grafica: l'opera di Enzo Mari, appena scomparso, in mostra alla Triennale di Milano 

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Enzo Mari se ne è andato proprio pochi giorni dopo l’inaugurazione della sua mostra in Triennale Milano che celebra il talento e l'impegno di uno dei principali progettisti, artisti e teorici italiani. Un tributo fortemente voluto dal presidente Stefano Boeri, una collezione incredibile che documenta 60 anni di lavoro. Arte e design, architettura e filosofia, didattica e grafica, critica radicale e militanza. Mari è stato un gigante e la mostra ne racconta la grandezza con materiali inediti, provenienti dal suo archivio personale recentemente donato al Casva – Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del comune di Milano. In occasione della donazione, Mari ha posto un’unica condizione: che per quarant’anni nessuno dovrà accedere al suo archivio, perché solo dopo questo lasso di tempo una nuova generazione di designer potrà farne un uso consapevole e riprendere così in mano il significato profondo delle cose.

 

Questa retrospettiva è dunque un’occasione unica per approfondire la lunga carriera e il messaggio visionario di Mari. Il progetto espositivo è stato curato da Hans Ulrich Obrist, con la co-curatela di Francesca Giacomelli ed è stato disegnato da Paolo Ulian. La mostra si sviluppa a partire dal riallestimento dell’ultimo progetto espositivo di Mari, “L’arte del design”, tenutasi alla GAM di Torino nel 2008-2009, di cui Mari stesso aveva seguito curatela, allestimento e catalogo. Un punto di vista imprescindibile che raccoglie concretamente l’ultima (e forse unica) selezione da parte dell’autore dei progetti considerati da lui rappresentativi. L’ordine cronologico governa il percorso espositivo, senza distinzione tra arte, design, architettura e grafica. E così, l’allegoria delle 44 valutazioni apre la mostra. Il simbolo della falce e martello, spezzato in 44 parti, rappresenta una critica all’arbitrarietà del mercato ma allo stesso tempo denuncia la frammentazione delle ideologie. E poi la formaggiera Java diventa una occasione per riflettere sul lavoro operaio.

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Mari non tollera che la produzione di un contenitore da lui ideato costringa l’operaio alla ripetizione ossessiva dello stesso pezzo per l’assemblaggio di una cerniera. Così inventa un coperchio che scorre sul manico, manifesto della liberazione dalla schiavitù di un lavoro alienante. E ancora la proposta per un’autoprogettazione nata dal fallimento del divano-letto “Day-Night” grazie al quale capisce che solo spingendo le persone a costruirsi da sole un mobile ne potranno capire la qualità. Per questo progetta 18 esercizi, cioè istruzioni per la costruzione di sedie, tavoli, librerie, letti che avrebbe spedito a chiunque ne avesse fatto richiesta. Ecco quindi l’“Allegoria della morte”. L’opera è costituita da tre lapidi. La prima, con incisa una croce, allude a tutte le religioni monoteiste. La seconda, con una falce e martello, rappresenta le ideologie. La terza, con una svastica, descrive il genocidio generato dal consumo di massa, preludio a un disastro ancora peggiore, quello del pianeta Terra, un’intuizione premonitrice di quello che sta tristemente avvenendo, insomma.

 

La mostra si conclude con il contributo di artisti e progettisti internazionali invitati a rendere omaggio al Maestro attraverso installazioni site-specific che rappresentano l’eredità e la continuità con il pensiero di Mari per i prossimi quarant’anni. Dominique Gonzalez-Foerster, Mimmo Jodice, Dozie Kanu, Adrian Paci, Barbara Stauffacher Solomon, Rirkrit Tiravanija, Danh Vo, Adelita Husni-Bey con le loro opere celebrano il Maestro e il suo pensiero. E infine Nanda Vigo, nell’opera ideata prima della sua scomparsa, reinterpreta con la luce due dei lavori più celebri di Mari, i 16 animali e i 16 pesci, e mette così in scena, per bambini e adulti, “Lo zoo di Enzo”.  Come direbbe lui stesso questa mostra è prima di tutto un invito: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”. Un monito, un invito per tutti, in maniera particolare per la nostra generazione di giovani direttori, curatori, designer e architetti a guardare fuori dalla finestra e progettare il nostro domani. E’ ciò che dovremo fare domani, senza di lui, con molta malinconia addosso, ma pieni della sua ispirazione di uomo intransigente e geniale.

 

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Lorenza Baroncelli è direttrice artistica della Triennale Milano

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