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La città esplosa

Michele Masneri

A Palazzo delle Esposizioni la retrospettiva di Gabriele Basilico. Milano, San Francisco, Napoli: e Roma all’inseguimento di Piranesi

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C’è Milano prima che diventasse il posto più bello del mondo, nel 2012, prima dell’Expo fatale. Ci sono San Francisco, Istanbul e Bilbao, Gerusalemme e Lisbona. Buenos Aires e Genova, Parigi e Valencia. Bari. Nella retrospettiva appena aperta al Palazzo delle Esposizioni di Roma, “Metropoli”, di Gabriele Basilico, si celebra l’amore per le città del maggior fotografo d’architettura italiana, scomparso nel 2013. Basilico è un vero playboy di città, e come ogni playboy le ama tutte, soprattutto quelle brutte. Ama sopra ogni cosa le parti più infime: sì, ci sono i grattacieli, c’è la torre Unicredit e ci sono i palazzi della Défense a Parigi, ma l’occhio di Basilico piomba poi immancabilmente su capannoni, laterizi, centri commerciali, svincoli, rotonde, abusi. Ogni cosa è illuminata nel bianco e nero drammatico e poetico di Basilico e ogni difetto assume nobiltà. Le foto trasudano amore per il brutalismo da diporto della provincia italiana, percorsa in un grand tour del degrado compiuto nel 1996 per una Biennale ispirato da Stefano Boeri. Un viaggio in Italia su direttrici bizzarre, sulle città in esplosione nell’ultimo periodo in cui il Paese ancora “tirava”, prima dell’euro fatale e delle recessioni: da Milano a Como, da Firenze a Pistoia, da Rimini a Riccione, da Venezia a Treviso, da Napoli a Caserta, sulle vie della seta dell’orrore urbanistico del benessere: “Rettangoli che partivano dal centro delle città verso l’esterno”, un “ossario di oggetti edilizi spesso mediocri quasi sempre solitari ammassati l’uno all’altro senza una logica”, dice un Boeri giovinetto in video.

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C’è Milano prima che diventasse il posto più bello del mondo, nel 2012, prima dell’Expo fatale. Ci sono San Francisco, Istanbul e Bilbao, Gerusalemme e Lisbona. Buenos Aires e Genova, Parigi e Valencia. Bari. Nella retrospettiva appena aperta al Palazzo delle Esposizioni di Roma, “Metropoli”, di Gabriele Basilico, si celebra l’amore per le città del maggior fotografo d’architettura italiana, scomparso nel 2013. Basilico è un vero playboy di città, e come ogni playboy le ama tutte, soprattutto quelle brutte. Ama sopra ogni cosa le parti più infime: sì, ci sono i grattacieli, c’è la torre Unicredit e ci sono i palazzi della Défense a Parigi, ma l’occhio di Basilico piomba poi immancabilmente su capannoni, laterizi, centri commerciali, svincoli, rotonde, abusi. Ogni cosa è illuminata nel bianco e nero drammatico e poetico di Basilico e ogni difetto assume nobiltà. Le foto trasudano amore per il brutalismo da diporto della provincia italiana, percorsa in un grand tour del degrado compiuto nel 1996 per una Biennale ispirato da Stefano Boeri. Un viaggio in Italia su direttrici bizzarre, sulle città in esplosione nell’ultimo periodo in cui il Paese ancora “tirava”, prima dell’euro fatale e delle recessioni: da Milano a Como, da Firenze a Pistoia, da Rimini a Riccione, da Venezia a Treviso, da Napoli a Caserta, sulle vie della seta dell’orrore urbanistico del benessere: “Rettangoli che partivano dal centro delle città verso l’esterno”, un “ossario di oggetti edilizi spesso mediocri quasi sempre solitari ammassati l’uno all’altro senza una logica”, dice un Boeri giovinetto in video.

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Poi certo, ci sono San Francisco e Istanbul, Gerusalemme e Lisbona, però le parti più interessanti sono quelle sull’Italia dove subito il fotografo lascia da parte i centri storici e si butta sulle tangenziali e sui viadotti, sui ponteggi e i semafori, gli svincoli e le tettoie e le ciminiere: con effetti 3D forse copiando i segreti di un suo maestro come Giovan Battista Piranesi, con cui si cimenta in un epico confronto voluto dieci anni fa dalla Fondazione Cini, battendo gli stessi posti e cercando di ricreare la stessa inquadratura di tante classiche vedute di quell’influencer che inventò l’immagine coordinata di Roma. Che personaggio: veneziano, archeologo, incisore, una vita di stenti come tutti, poi la svolta come interior decorator preferito dei Papi, a cui fa gli appartamenti al Quirinale e a Castel Gandolfo, e solo in vecchiaia azzecca il business che poi lo rende celebre, le “vedute” di Roma, grandi formati per immagini di rovine che tutti vogliono in casa, tipo multipli warholiani. Basilico si getta dunque all’inseguimento, stessi luoghi, ma inquadrature impossibili, un po' perché Piranesi “inventa” prospettive elicotteristiche, un po' perché Roma era diversa.

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“Lavorare a Roma è un dramma”, scrive Basilico, “perché i monumenti sono invasi dalla gente a qualunque ora”. Prova a fotografare il Pantheon ma tutto è invaso da ponteggi e tavolini, e la Fontana di Trevi peggio me sento. L’epico inseguimento, già confluito nel volume “Piranesi Roma Basilico” (edizioni Contrasto) finisce con un omaggio-pellegrinaggio al maestro a Paestum, dove Piranesi ormai vetusto di onori e acciacchi fece un ultimo sopralluogo, solo per trovare la location piena di suoi giovani competitor internazionali. Capisce che il suo tempo è finito, se ne torna a Roma assai depresso, e di lì a poco vi muore.

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