Guida sentimentale-architettonica per districarsi nella Milano di Giò Ponti

Michele Masneri

L'architetto sguazzava nella landa del design, con “visioni” e aspirazioni subito pronte a diventare produzioni di serie grazie all’operosa Brianza, la Silicon Valley milanese. E poi: una grande mostra in arrivo a Parigi

Per districarsi tra le mille architetture pontiane milanesi ecco finalmente una guida cartacea destinata a chi vuole emanciparsi dai Google Maps. Volumetto tascabile (trasportabile ma anche da esibire su tavolini comme il faut), “Giò Ponti e Milano - Guida alle architetture 1920-1970”, Quodlibet, è una Lonely Planet per esplorare Milano evitando gli Starbucks di fascia alta e gli Apple store sberluccicanti, gettandosi invece all’inseguimento dei bugnati e mosaici e scaloni novecenteschi. Milano è un museo a cielo aperto, anzi come si dice oggi diffuso, di manufatti pontiani. Milano come “spazio di una continua sperimentazione” per il genio di GP, scrive Stefano Boeri nella prefazione.

 

Ponti era naturalmente visto con sospetto, nella patria della iperspecializzazione, da grande versatile, capace di disegnare il palazzo Pirelli ma anche rubinetti e poltroncine, cattedrali e seggiole, dunque pronto a esser declassato a “designer” prima che la parola avesse il coraggio di pronunciare il suo nome.

Milano però doveva essere luogo perfetto per le sperimentazioni di questo genio multiforme, città con vocazione europeista e commercial-vetrinistica (la città che esprime il suo meglio nel Salone e nel Fuorisalone, dunque summa di allestimento da display designer, che ha i suoi dioscuri nei fratelli Bocconi fondatori della Rinascente, e il suo massimo stilista ex vetrinista allo stesso grande magazzino). Città poi efficacemente bombardata, a differenza di Roma città aperta (e priva dunque di architettura moderna).

 

Ponti sguazzava in questa landa o land of design, con “visioni” e aspirazioni subito pronte a diventare produzioni di serie grazie all’operosa Brianza, la Silicon Valley milanese. Volumetto alla mano, ecco dunque tanti itinerari per weekend autunnali: dalla casa “neopalladiana” di via Randaccio (1920), con facciate concave e convesse, alla casa Melandri di viale Lunigiana (1957), vagamente morettiana, tutta giocata sui contrasti pieni e vuoti e sui rivestimenti ceramici, sua ossessione (dal 1923, e per circa quindici anni, era stato direttore della “Richard-Ginori” rilanciando la ceramica italiana), fino al monumentalismo milanese, turrito o porticato (la casa e torre Rasini del 1933, torrione laterizio e villozzo marmoreo, opera bifronte insieme al socio Emilio Lancia, da cui divorzierà dopo questa committenza). Il mammozzone è alto cinquanta metri, è uno dei primi grattacieli milanesi, il podestà di Milano Sua Eccellenza Marcello Visconti di Modrone è eccitato dall’avere un torrione simile nella zona nuova di Porta Venezia (un Bosco Verticale degli anni Trenta). Genio multiforme, design totale: gli interni (soprattutto degli uffici) ottengono nuova dignità, con materiali nuovi – alluminio anodizzato, gomma, linoleum giallo e nero all’interno del grattacielo Pirelli, ma anche il palazzo Rai e quello Montecatini con centrali e centralini in bella vista e mosaico di grès, arie condizionate, ascensori, tutto super hi tech per l’epoca (1936). Non contento, Ponti fonda riviste (come Domus, nel 1928), disegna perfino automobili (vedi sotto). Il 2019, quarantennio dalla morte, lo celebrerà adeguatamente; il 19 ottobre apre a Parigi “Tutto Ponti-Giò Ponti archi-designer” al Musée des Arts Décoratifs. Il diciannove sarà dunque l’anno pontiano, dopo il diciotto sottsassiano (quell’altro grande eclettico).

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