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Ricetta seriale

"The Diplomat", lo spionaggio internazionale anche per chi non ama le spy story 

La serie firmata Netflix mette in scena la storia di un'ambasciatrice americana inviata a Londra dopo l'esplosione di una nave inglese nella quale sono morti trenta soldati britannici. Un perfetto racconto "generalista ma non troppo" accessibile a tutti

Gaia Montanaro
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È un equilibrio sorprendentemente ben riuscito quello che caratterizza The Diplomat - La Diplomatica, serie Netflix in otto episodi da circa un’ora che segue le vicende di Kate Wyler (Keri Russell), nuova ambasciatrice americana a Londra, donna d’azione e abituata a operare nelle zone di guerra che si trova catapultata in un contesto fatto di incontri politici e cene di rappresentanza. Al suo seguito il marito – Hal Wyler (Rufus Sewell) – diplomatico e ambasciatore di lunga data, uomo dal carattere anticonformista e vera leggenda nell’ambiente. Kate arriva a Londra, su mandato del Presidente degli Stati Uniti, poiché una nave inglese viene colpita da nemici sconosciuti e nell’esplosione muoiono più di trenta soldati britannici. In realtà questo incarico è solo un test generale perché la donna è – a sua insaputa, almeno fino ad un certo punto – in lizza per diventare vicepresidente americana e il lavoro che svolgerà a Londra farà comprendere se ha la tempra e le caratteristiche per occupare quel ruolo.

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Fino a qui potrebbe sembrare il classico “procedural a sfondo politico”, un intreccio tra The Americans (di cui la Russell era già attrice protagonista), The West Wing (insuperato racconto della politica americana a firma Aaron Sorkin) e un pizzico di House of Cards. In realtà The Diplomat propone, intelligentemente, uno scarto in più: sceglie un registro linguistico e stilistico intriso di momenti leggeri e a tratti ironici. Kate è una donna incasinata, con i capelli sempre tendenti all’arruffato, che odia vestirsi in modo ricercato e che va in giro con una comoda borsa a tracolla. È seria e concentrata quando la situazione lo richiede, furba e pragmatica nella risoluzione dei problemi contingenti, poco diplomatica e a tratti “folle” nella gestione della sua sfera più personale (con il marito sono ai ferri corti e Kate non si tira indietro neppure da menare qualche ceffone quando Hal supera il limite). È quindi un personaggio imprevedibile che riesce a tenere insieme, in un equilibrio molto difficile da ottenere in scrittura perché il rischio “farsa” è dietro l’angolo – dimensioni personali molto diverse. È una diplomatica cangiante, che ha tante facce come – fisiologicamente – tutte le persone hanno. E in questo sta la sua forza di attrazione: non è solo granitica e professionale o solo arruffata e oppositiva ma tutte le sue sfaccettature sono credibili e ben raccontate. E, cosa che mai guasta, the Diplomat è un racconto accessibile a tutti, non solo agli iniziati di politica internazionale famigliari con il gergo spy. È insomma un perfetto racconto “generalista ma non troppo”, esperimento riuscito di cui si farà una seconda stagione. La serie è creata da Debora Cahn, già produttrice di Homeland e sceneggiatrice – tra le atre serie – di The West Wing e Gray’s Anatomy. 

 

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Quali sono gli ingredienti di The Diplomat?

Pur essendo una serie con una protagonista molto ben definita e identitaria, di fatto La Diplomatica è un racconto corale. Come The West Wing docet, qui c’è una costruzione strutturale simile: un’arena (lì era la Casa Bianca, qui è l’ambasciata americana a Londra) dei collaboratori che rivestono vari ruoli, ben costruiti e con un proprio specifico nel rapporto con l’ambasciatrice (ad esempio Stuart Heyford, capo missione dell’ambasciata americana a Londra, o Eidra Park, capo della divisione della CIA a Londra), personaggi ancillari che costituiscono la corte – di shakespeariana memoria – a cui Kate può appellarsi e infine la sua sfera privata, legata al rapporto complesso ma anche stimolante con l’ingombrante Hal.

 

Qual è l’estetica di The Diplomat?

La serie appare dal punto di vista estetico curata nei dettagli ma senza quell’eccesso di affettazione che spesso caratterizza i racconti ambientati nel mondo della diplomazia e delle alte sfere della politica. C’è si un gusto per la raffinatezza, i colori pastello e le ampie tele che abbelliscono la residenza dei Wyler ma essa è ben dosata con – ad esempio – ambienti lavorativi più essenziali e castigati, in perfetto stile british. 

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Qual è il tono di The Diplomat in quattro battute? 

“Il presidente ti manda lì per impedire una guerra non…per imburrare tartine”.

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“Sai chi non si può licenziare? Cenerentola”.

“Tu sei così famoso che nessuno vuole lavorare con te”.

“E’ una regola aurea: chi ama il potere non dovrebbe averlo”.

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