PUBBLICITÁ

"Allora come oggi"

Attenti ai Muppet

Maurizio Stefanini

I celebri pupazzi tornano su Disney+ con un avviso sul politicamente scorretto. Epopea di una serie tv che ha esordito in Italia nel 1977

PUBBLICITÁ

"È tempo di far musica / è tempo di cantar / i favolosi Muppet / sta per cominciar”: così il 29 novembre del 1977 li annunciava su Rai 2 un balletto stile Can Can con quattro pupazze. Una col volto da maialina. Lo spettacolo, di provenienza Usa, faceva riferimenti ironici a un tipo di varietà che in Italia non si conosceva. Però riportava sui nostri schermi un’epopea di animazione, proprio nel momento in cui se ne esauriva un’altra nostrana che aveva fatto la storia della nostra tv per almeno una ventina di anni. Il rappresentante più noto era stato Topo Gigio, di Maria Perego e Guido Stagnaro.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


"È tempo di far musica / è tempo di cantar / i favolosi Muppet / sta per cominciar”: così il 29 novembre del 1977 li annunciava su Rai 2 un balletto stile Can Can con quattro pupazze. Una col volto da maialina. Lo spettacolo, di provenienza Usa, faceva riferimenti ironici a un tipo di varietà che in Italia non si conosceva. Però riportava sui nostri schermi un’epopea di animazione, proprio nel momento in cui se ne esauriva un’altra nostrana che aveva fatto la storia della nostra tv per almeno una ventina di anni. Il rappresentante più noto era stato Topo Gigio, di Maria Perego e Guido Stagnaro.

PUBBLICITÁ

 

Quest’ultimo, morto giusto il 18 febbraio, a 96 anni. Ma negli anni 60 e nei primi 70 tutti i bambini italiani conoscevano e guardavano personaggi e serie come Cappuccetto a Pois, Galileo e gli Animatti, Nonno Tobione, Re Però, il cane Gippo, il Paese dei Pirimpilli, i Sogni di Ernesto, Biffo e Baffo, Quattro Cuccioli di Periferia, Paolino, l’Orso Gongo, Porto Pelucco, Il professor Glott; per non parlare delle trasposizioni di classici di Jules Verne tipo “Il giro del mondo in 80 giorni” o “Viaggio al centro della terra”, o dei “Primi uomini sulla luna” di Herbert George Wells. Anch’essi in gran parte firmati da Stagnaro, erano cose spesso molto poetiche, ma anche molto autarchiche. Fatalmente destinate a scomparire, nel momento in cui con la fine del monopolio Rai gli schermi nazionali furono invasi da anime giapponesi e cartoon Usa. Insomma, un ideale passaggio di mano.

 

PUBBLICITÁ

Purtroppo Galileo, Paolino, Gongo e Glott furono poi vittime di una radicale “cancel culture” della Rai dell’epoca, che riutilizzava i nastri registrati di trasmissioni non considerate meritevoli di passare ai posteri, o li perdeva addirittura. A parte Topo Gigio, che appariva anche in trasmissioni più importanti fino a Canzonissima o Carosello, su YouTube o Teche Rai non si trova dunque oggi quasi nient’altro. I Muppet, che pure in Rai approdarono dopo 23 anni di esistenza sugli schermi Usa, sono invece rimasti. Nel 1979 sarebbe stato anzi girato il primo di una serie di film ormai arrivata a 13 titoli. Pellicole in cui oltre a interagire con attori famosi e raccontare la propria storia i Muppet hanno anche riproposto classici della letteratura come il “Canto di Natale” di Dickens o “L’Isola del tesoro” di Stevenson. Nel 2012 su Slate Magazine Dahlia Lithwick, una giurista importante collaboratrice anche di Newsweek e The New Republic, ha lasciato perdere per un attimo i suoi abituali temi per dedicare addirittura un saggio alla filosofia dei Muppet.

 

Adesso, però, nel metterne le cinque stagioni a disposizione in streaming, Disney+ ha aggiunto pure qua lo stesso tipo di disclaimer già apparso per classici come “Gli aristogatti”, “Peter Pan” o “Dumbo”. “Il programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi e comportamenti erano sbagliati allora e lo sono oggi”, si legge nella schermata che appare per 15 secondi prima dell’inizio di alcune puntate. “La rimozione del contenuto negherebbe l’esistenza di pregiudizi e il loro impatto dannoso sulla società. Scegliamo, invece, di trarne insegnamento per stimolare il dialogo e creare insieme un futuro più inclusivo”. Effettivamente, c’è un famoso sketch in cui Kermit nel presentare i vichinghi come feroci predoni viene preso a padellate in testa dal cuoco svedese pasticcione Olaf, e poi si vede un gruppo di pirati nordici che saccheggia un pacifico villaggio cantando “In the navy” dei Village People. Oltretutto con in testa quegli elmi con le corna che tutti gli storici riconoscono ormai non essere mai stati portati dai vichinghi, se non in caricatura. Anche Pepe, il re dei gamberi, ogni tanto mette in mezzo ai suoi discorsi qualche parola in spagnolo.

 

PUBBLICITÁ

Cos’è poi la pedante aquila Sam, se non una caricatura dell’americano benpensante e dei suoi valori? Curiosamente, però, di questi tre stereotipi etnici non si è parlato. I commenti alla decisione della Disney hanno invece ricordato il cantante Johnny Cash di fronte alla bandiera sudista, l’attore Jonathan Winters vestito da indiano d’America con un cappello di piume, pupazzi agghindati in stile arabo che bramosi di ricchezza perforano la stanza di Kenny Roger in cerca di petrolio. “Tutte scene che potrebbero apparire innocue ma che in realtà, soprattutto agli occhi dei più piccoli, rischiano di rinforzare immagini stereotipiche e pregiudizi errati, che come sappiamo si saldano poi nell’immaginario comune e diventano sempre più difficili da estirpare”, è stato spiegato. La non menzione dei vichinghi sembrerebbe far intendere che invece dipingere svedesi, norvegesi e danesi come discendenti da truci assassini con le corna in testa si può fare, perché non turba e non offende. E anche la presa in giro dei “valori americani” dell’aquila Sam è ammessa. Ma guardiamo un po’ la sostanza.

PUBBLICITÁ

 

L’eroe principale dei Muppet è un ranocchio di nome Kermit, legato da una storia d’amore assieme tenera e turbolenta con la maialina Miss Piggy. “Per presentar la stella / hanno chiamato me / ed è che con vera gioia / che vi dirò chi è”, era il suo claim d’ingresso in scena. In “The Muppet Christmas Carol” si vede che Kermit, il Bob Cratchit dipendente malpagato di Scrooge, non solo è sposato con Piggy, ma i due hanno addirittura procreato: i maschi sono ranocchietti come il padre; le femmine scrofette come la madre (e forse con la polemica Gozzini-Meloni anch’esse potrebbero ora finire sotto censura…). Oltre che da specie diverse i due innamorati vengono da ambienti e culture diverse, e in uno sketch si vede lei che si lamenta, dopo che lui ha invitato tutti gli amici nella sua palude di origine, tra fango e zanzare. “Ma ti ha dato di volta il tuo cervellino verde?!”. “Quelle sono le mie radici”, prova a giustificarsi lui.

PUBBLICITÁ

 

E rilancia: “Se non ti va bene possiamo parlare delle tue di radici. Il porcile, dove i maiali tuffano il grugno nel trogolo! Te lo ricordi, eh? Te lo ricordi?”. E lei risponde con un cazzotto: forse altro promemoria da disclaimer, visto che mostra violenza in una coppia. In effetti nel febbraio del 2014 furono diffuse le foto del loro matrimonio, ma in capo a un anno e mezzo un comunicato annunciò la loro separazione. “Dopo averci pensato su un bel po’, dopo attenta considerazione e litigi epocali, io e Miss Piggy abbiamo preso a malincuore la decisione di mettere fine alla nostra relazione. Continueremo a lavorare insieme in tv e in tutti i media finora conosciuti e concepiti in futuro, da qui all’eternità e nell’universo. Ad ogni modo, le nostre vite personali ora si dividono e usciremo con altre persone, maiali, rane e quant’altro. Questo è il nostro unico commento sulla faccenda. Grazie per la comprensione”.

 

Comunque, non sembra essere stato un problema di coppia mista anfibio-mammifera. Ma poi tra i comprimari ci sono una quantità di altri pupazzi. Alcuni con sembianze animali, come l’orso insicuro e comico impacciato Fozzie, il calmissimo cane pianista Rowfl, i già citati gambero spagnolo Pepe e aquila patriottica Sam, il beffardo ratto Rizzo…. Altri invece sono più o meno antropomorfi: il direttore di scena e tuttofare Scooter, il fan sfegatato Walter, i vecchietti beffardi Statler e Waldorf, il giornalista occhialuto… Altri ancora indecifrabili: una specie di uccellaccio blu dal naso adunco di nome Gonzo che nel film del 1999 “I Muppet venuti dallo spazio” si rivelerà addirittura un alieno; il trucissimo e fracassone batterista Animal; l’orco gentile Sweetums; il pazzo attentatore esplosivo Harry; quello spettro del palcoscenico Uncle Deadly che appare come un sinistro rettile blu ma dice di essere lo spirito di un attore ucciso dai critici dopo una disastrosa interpretazione dell’Otello…

 

Assieme a loro, a ogni puntata c’è almeno un vip, ospite vero in carne e ossa. La “teoria unificata dei tipi Muppet” di Dahlia Lithwick spiegava appunto che “ogni tanto arriva un’idea che cambia per sempre il modo in cui guardiamo noi stessi”. Ad esempio, “prima di Cartesio, nessuno sapeva che stavamo pensando. Credevamo tutti di stare solo rimuginando. Fino a Karl Marx, tutti si odiavano ampiamente a vicenda, ma nessuno sapeva bene perché. E prima di Freud, nessuno capiva che l’intera umanità poteva essere classificata in una tra due semplici tipologie: persone che non sanno ancora di voler dormire con le loro madri e persone che già sanno di voler dormire con le loro madri”. E “queste dialettiche possono cambiare e plasmare chi siamo così profondamente che è difficile immaginare la vita prima del paradigma”. Ebbene, “la stessa cosa vale per la teoria dei Muppet”. E’ “una filosofia poco conosciuta e poco compresa”, ma serve a capire “che ogni essere umano vivente può essere classificato secondo un semplice parametro: ognuno di noi è un Chaos Muppet o un Order Muppet”.

 

I primi “sono fuori controllo, emotivi, volatili. Tendono verso il blu e sono sfocati. Si fanno strada nella vita in un vortice di briciole di cibo, piccoli oggetti in fiamme e la lettera C”. Tra loro, ad esempio, Gonzo e Animal. Ma anche il Cookie Monster divoratore di biscotti, l’altro mostro blu Grover, l’ingenuo Ernie, l’inventore pazzo Dott. Bunsen Honeydew. Nella vita reale Dahlia Lithwick ci mette ad esempio la moglie di Francis Scott Fitzgerald Zelda, e il giudice liberal della Corte suprema Stephen Breyer. Sono un po’ come lo Shiva della Trimurti indiana, che dalla distruzione continua a far germinare la vita. Tra gli Order Muppet ci sono invece ad esempio Kermit, l’amico studioso di Ernie Bert, Scooter, Sam l’Aquila. Dahlia Lithwick osserva che “tendono ad essere nevrotici, altamente irreggimentati, ostili alle sorprese e con le sopracciglia mostruosamente grandi. A volte si risentono per la responsabilità del mondo che grava sulle loro spalle, ma dentro di sé si divertono al sapere che permettono allo show di andare avanti”.

 

Come il dio conservatore indù Visnu, come la maggior parte dei maestri elementari e come il presidente della Corte suprema John Roberts: ricordiamo che l’analisi è fatta da una giurista americana. Le donne sembrano preferire gli Order per poi andare assieme con i Chaos, ma secondo la Lithwick alla fine tanto in famiglia che al lavoro il buon funzionamento di un ambiente dipende dall’equilibrio che si raggiunge. I Chaos nel ruolo del motore; gli Order in quello del volante. È bene dunque che un Chaos sia sposato a un Order, e il suo giudizio era che la Corte suprema funzionava male per un eccesso di Order. Una provocazione, ovviamente. Ed è un peccato che la giurista non ci spieghi in che gruppo mettere i due vecchietti terribili Statler e Waldorf con le loro battute a un tempo dissolventi e riordinatrici. “Ho capito perché lo spettacolo non va”. “Perché?”. “È colpa del teatro”, “Che cos’ha che non va?”. “Dai posti si vede il palcoscenico”. “Questo spettacolo è orribile”. “Spaventoso”. “Disgustoso”. “Ci torniamo ancora?”. “Sicuro!”.

 

Però sicuramente l’armonia tra caos e ordine deriva anche dall’assoluta eterogeneità, metafora del melting pot americano. “E pluribus unum”. Appunto, il primo film del 1979 “The Muppet Movie”, in italiano “Ecco il film dei Muppet” o “Tutti a Hollywood coi Muppet” nell’edizione in Dvd, scelto anche nel 2009 per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, inizia con Kermit che nella sua palude canta accompagnandosi con il banjo. Un talent scout in barca gli dice che se va a fare un’audizione a Hollywood diventerà ricco e famoso. Si sviluppa così un “on the road” in cui il ranocchio incontra per la prima volta gli altri Muppet: Fozzie in un bar, la band di Dr. Denti e gli Electric Mayhem, Gonzo con la sua amata gallina Camilla, Rowlf il cane, Piggy che dopo aver vinto un concorso di bellezza si innamora di lui al primo sguardo…

 

Pericoloso è il viaggio, per le insidie di un Doc Hopper che vuole a tutti i costi Kermit testimonial per i suoi fast food a base di zampe di rana. Prima del lieto fine, con il contratto fatto firmare nientemeno da Orson Welles, a un certo punto la carovana si ferma nel deserto, in un tipico accampamento da film western. Mentre gli altri cantano tristi ballate country sotto la luna al suono dell’armonica, Kermit si allontana un attimo, e parla con il suo alter ego. “Io non ho promesso niente a nessuno. Io non so niente di Hollywood. È solo un sogno”. “E allora perché hai abbandonato la palude?”, gli chiede una voce interiore. “Un agente mi ha detto che avevo talento”. L’altro Kermit si materializza, seduto su un sasso. “Be’, pensa che se non avessi saputo della palude ora ti sentiresti da schifo”. “Sì, ma mi sentirei da schifo io solo. Ora ho una maialina, un orso, una gallina, un cane, un Gonzo che non so neanche che è. È come un tacchino piccolo”. “No, assomiglia a un tacchino, ma non troppo”.

 

“Hai ragione. Ma la cosa è che stanno qua, in un posto sperduto. Per colpa mia”. “Ascolta. Gli hai promesso qualcosa?”. “No.” “Sono stati loro che sono voluti venire”. “Sì, ma perché credevano in me”. “No, credevano in un sogno”. “Io pure”. “Sì”. “Certo che sì”. “Allora?”. “Allora, ho sbagliato a dire che non l’ho promesso a nessuno. L’ho promesso a me stesso”. A quel punto l’altro Kermit scompare, una stella cadente passa, e dal campo arriva una nuova musica festosa. E il viaggio può ripartire. Che migliore metafora ci potrebbe essere di una società multirazziale e multiculturale pronta dopo ogni difficoltà a rimettersi in marcia proprio facendo della eterogeneità la sua forza? E non si potrebbe semplicemente mettere questa scena all’inizio, al posto del disclaimer?

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ