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L’illusione di Sanremo

Simonetta Sciandivasci

Spacciare l’Italia per un paese di vecchi fatto per i giovani, nonostante sia un paese di vecchi fatto per i vecchi

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Non è il festival dei giovani. È il festival della giovinezza, ed è parecchio diverso. I giovani invecchiano, la giovinezza no. I giovani sono stupidi davvero, specie a vent’anni, la giovinezza no. I giovani hanno un’età, la giovinezza no. La giovinezza richiede un certo talento, una chiara capacità, una sfacciataggine che possiede chi è molto nuovo e quindi inconsapevole o chi è molto vecchio e quindi accorto. Se fosse stato il festival dei giovani, avrebbero suonato soltanto sottotrentenni e ci saremmo fatti due palle così, primo perché piuttosto spesso i sottotrentenni, quando salgono sul palco di Sanremo, si fanno prendere dalla fregola di dimostrarti che sono all’altezza della grande tradizione italiana; secondo perché non nascono più incendiari da almeno un ventennio, anche perché gli incendi inquinano, e sappiamo come alle nuove generazioni importi più l’equità forestale di quella salariale. Le vituperate quote anziani, ovverosia Berti e il medley del Pleistocene (Bella, Leali, Cinquetti) non erano, come molti hanno pensato o scritto o chiacchierato, old washing – metto i vecchi in minoranza, ma do loro i ministeri con portafoglio, così sembra che il potere è dei ragazzi. E no. Amadeus non ha ragionato né in termini di rottamazione, né in termini di mediazione, cioè di Democrazia cristiana. Ha tentato, sta tentando una sinergia. Ed è la sola cosa da fare, in un paese dove la rottamazione ha fallito anche perché non ha i numeri per governare. Amadeus ha cercato, sta cercando di dire: stante che l’Italia è un paese per vecchi soprattutto perché è un paese di vecchi, come possiamo, intanto, trasformarla almeno in un paese di vecchi che però sia un paese per giovani? Visto che il Pd ha i suoi problemi, la sinistra non ne parliamo, il governo ha da farci vaccinare, e l’ultima ondata di giovani in Parlamento non ha portato il migliore dei mondi possibili, il festival si propone come laboratorio di questa transizione. 

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Non è il festival dei giovani. È il festival della giovinezza, ed è parecchio diverso. I giovani invecchiano, la giovinezza no. I giovani sono stupidi davvero, specie a vent’anni, la giovinezza no. I giovani hanno un’età, la giovinezza no. La giovinezza richiede un certo talento, una chiara capacità, una sfacciataggine che possiede chi è molto nuovo e quindi inconsapevole o chi è molto vecchio e quindi accorto. Se fosse stato il festival dei giovani, avrebbero suonato soltanto sottotrentenni e ci saremmo fatti due palle così, primo perché piuttosto spesso i sottotrentenni, quando salgono sul palco di Sanremo, si fanno prendere dalla fregola di dimostrarti che sono all’altezza della grande tradizione italiana; secondo perché non nascono più incendiari da almeno un ventennio, anche perché gli incendi inquinano, e sappiamo come alle nuove generazioni importi più l’equità forestale di quella salariale. Le vituperate quote anziani, ovverosia Berti e il medley del Pleistocene (Bella, Leali, Cinquetti) non erano, come molti hanno pensato o scritto o chiacchierato, old washing – metto i vecchi in minoranza, ma do loro i ministeri con portafoglio, così sembra che il potere è dei ragazzi. E no. Amadeus non ha ragionato né in termini di rottamazione, né in termini di mediazione, cioè di Democrazia cristiana. Ha tentato, sta tentando una sinergia. Ed è la sola cosa da fare, in un paese dove la rottamazione ha fallito anche perché non ha i numeri per governare. Amadeus ha cercato, sta cercando di dire: stante che l’Italia è un paese per vecchi soprattutto perché è un paese di vecchi, come possiamo, intanto, trasformarla almeno in un paese di vecchi che però sia un paese per giovani? Visto che il Pd ha i suoi problemi, la sinistra non ne parliamo, il governo ha da farci vaccinare, e l’ultima ondata di giovani in Parlamento non ha portato il migliore dei mondi possibili, il festival si propone come laboratorio di questa transizione. 

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Fulminacci ha meno di venticinque anni e la giovinezza la canta: “Voglio solamente diventare deficiente e farmi male, citofonare e poi scappare”. Berti ha qualche decennio in più e la giovinezza la fa: si fa quasi arrestare per ritirare il vestito dalla sartoria dopo il coprifuoco, accetta di essere la sola fuori fascia, se ne frega del virus e va a cantare, carpe diem. Il medley del Pleistocene arriva a notte fonda, come la visita agli zii in rsa il giorno di Santo Stefano, anzi dell’Epifania, un momento prima della fine della festa, giusto per onorare gli obblighi. I pezzi più ambiziosi e ricercati li suonano e cantano gli adulti, non gli esordienti, e questo succede per le ragioni dette prima, con un po’ di sarcasmo, ma pure perché se c’è una cosa buona del funestante Zeitgeist d’oggidì è che le classificazioni sono saltate e avere vent’anni non comporta più l’obbligo alla rivoluzione così come essere di sinistra non dovrebbe comportare più l’obbligo alla mitosi. I pezzi più ballabili, radiofonici, furbi e pop sono di Willie Peyote, Madame, Fulminacci, Ghemon e Maneskin. Quello di Orietta, bellino, non va bene nemmeno per una cena su una Costa Crociere.

  

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Lo spettacolo è imperfetto, pieno di buchi, salite ardite e risalite, novanta sfumature d’insicurezza, dalla sfacciataggine di Matilda De Angelis alla gratitudine di Elodie. Lo spettacolo se la rischia. Per questo lo share è basso ma lo streaming è alto, non se ne parla al bar ma su Twitch: è un esperimento, attività ringiovanente per eccellenza.

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