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Io, tu e i figuranti

Su Sanremo ha ragione Franceschini (ma i teatri meglio aprirli)

Maurizio Crippa

Amadeus minaccia le dimissioni, ma i dpcm valgono anche in Rai 

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Stiamo faticando così tanto per riuscire a prendere sul serio una questione che dovrebbe essere grave come una crisi di governo – in mezzo a tutti questi Luigi “Alvaro” Vitali, che si deresponsabilizza nottetempo, con il costruttore della Xylella che si responsabilizza oltre la zona Cesarini e viene salvato dal Var, con la senatrice del Pd affittata in leasing ma per il bene del paese – che per distrarci forse è il momento di provare a prendere sul serio una cosa che invece non è grave per principio, anzi per statuto sarebbe “leggera” ma spesso scade nel comico assoluto: insomma il Festival di Sanremo. Che necessita, sì, di qualche momento d’attenzione: se non altro perché, a osservarlo, ci si trova la radice del disastro politico del paese. Il direttore artistico di Sanremo (pro tempore come qualsiasi premier) per una settimana all’anno si convince di essere la persona più importante d’Italia (tipo un premier, o giù di lì). Ma a causa della friabilità liquefatta di tutto quel che gli sta intorno, a partire dalla Rai, il suo sentimento plenipotenziario si dilata, regolarmente, in lunghi mesi prima del fatidico evento canoro. Voglio questo e voglio quello, Morgan lasciatelo fuori come un Mastella qualsiasi, Ibra sì Ibra no.

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Stiamo faticando così tanto per riuscire a prendere sul serio una questione che dovrebbe essere grave come una crisi di governo – in mezzo a tutti questi Luigi “Alvaro” Vitali, che si deresponsabilizza nottetempo, con il costruttore della Xylella che si responsabilizza oltre la zona Cesarini e viene salvato dal Var, con la senatrice del Pd affittata in leasing ma per il bene del paese – che per distrarci forse è il momento di provare a prendere sul serio una cosa che invece non è grave per principio, anzi per statuto sarebbe “leggera” ma spesso scade nel comico assoluto: insomma il Festival di Sanremo. Che necessita, sì, di qualche momento d’attenzione: se non altro perché, a osservarlo, ci si trova la radice del disastro politico del paese. Il direttore artistico di Sanremo (pro tempore come qualsiasi premier) per una settimana all’anno si convince di essere la persona più importante d’Italia (tipo un premier, o giù di lì). Ma a causa della friabilità liquefatta di tutto quel che gli sta intorno, a partire dalla Rai, il suo sentimento plenipotenziario si dilata, regolarmente, in lunghi mesi prima del fatidico evento canoro. Voglio questo e voglio quello, Morgan lasciatelo fuori come un Mastella qualsiasi, Ibra sì Ibra no.

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Quest’anno Amadeus ha messo sul banco la carta fine di mondo, quella capace di far cadere tutto, manco fosse Matteo Renzi: voglio anche il pubblico all’Ariston. Peccato che l’Ariston sia un teatro, e i teatri siano chiusi da mesi, per obbligo di dpcm, e anche i concerti siano chiusi da mesi, e i cinema e pure le balere. E stanno rischiando di morire d’inedia. Perché mai l’Ariston, che è un teatro, dovrebbe essere aperto al pubblico? Per una gara di canzoni che poi, nella sostanza, è un format televisivo? Si dice che i cantanti devono sentire il clima, il pubblico dal vivo. Ma va? E i calciatori allo stadio invece no? E i cantanti lirici costretti allo streaming? La cosa è tanto fuori dall’equità delle regole emergenziali, e tanto dissennata, che infatti la Rai la sposa in pieno e, per aggirare il divieto di pubblico, si mette in cerca di coppie di figuranti “conviventi e negativi al tampone Covid” per riempire le poltrone. Roba da far giustamente infuriare tutti gli altri operatori di spettacolo dal vivo, Davide Livermore per primo.

 

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Finalmente ieri è intervenuto il ministro del Beni culturali, Dario Franceschini, che per ruolo istituzionale detiene le chiavi dei lucchetti di tutti i teatri, e ha detto: “Il Teatro Ariston di Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito ieri il ministro Roberto Speranza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile”. Le parole più sensate, ed eque verso il resto del mondo dello spettacolo, che potesse dire. O volendo, sono invece parole sbagliate. Perché il responsabile del Mibact dovrebbe provare a riaprirli, i teatri. Col pubblico a due a due ogni tre file, con il plexiglas pure: in estate qualcuno ci ha provato, ed è andato tutto bene. Invece, coi lucchetti, lo spettacolo sta morendo. E’ vero che il ministro ha da poco firmato tre decreti per 55 milioni di ristori al cinema e alle fondazioni liriche e altri ne metterà, ma in luoghi dove la sicurezza si può programmare assai meglio che allo stadio o al ristorante, si dovrebbe provare di più. Dibattito serio, che ha subito però stonato come in una rissa di Palazzo Madama. Amadeus ha minacciato di dimettersi, in un delirio di onnipotenza da après moi le déluge che neanche Zingaretti se gli portano via Conte. Oggi, dopo il giorno delle consultazioni, potrebbe essere il giorno della verità. Sanremo è ovviamente importante, per il popolo e per l’industria musicale. Ma hanno giocato anche la Champions a porte chiuse ed è andato tutto bene, in tv. Franceschini è già dimissionario di suo. Amadeus, se vuole si dimetta, ce ne faremo una ragione più in fretta che per l’addio ai costruttori del senatore Vitali.

 

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