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“The Undoing” invita alla visione compulsiva

Mariarosa Mancuso

Dimenticate le serie tv che partono lente. Ogni episodio rivela cose che non sapevamo, rimescola le carte in tavola

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La disinvoltura narrativa sfiora la sfacciataggine. “Una seconda stagione di ‘The Undoing’ ci starebbe benissimo”, ha dichiarato Hugh Grant. “Il pubblico ha ancora curiosità sulla famiglia Fraser: Grace, il marito Jonathan, il figlio Henry, e volendo anche il suocero”. Può darsi. Ma non sembra né possibile né vantaggioso trasformare un thriller in una sit-com. Magari intitolandola “Vita da ricchi a Manhattan” – ché questo abbiamo visto, intorno al mistero da svelare (ribadito dal titolo-aiutino italiano, “Le verità non dette”: sarebbe stato troppo complicato svelare che “Undoing” vuol dire annullamento, anche nel senso di una cosa fatta e disconosciuta).

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La disinvoltura narrativa sfiora la sfacciataggine. “Una seconda stagione di ‘The Undoing’ ci starebbe benissimo”, ha dichiarato Hugh Grant. “Il pubblico ha ancora curiosità sulla famiglia Fraser: Grace, il marito Jonathan, il figlio Henry, e volendo anche il suocero”. Può darsi. Ma non sembra né possibile né vantaggioso trasformare un thriller in una sit-com. Magari intitolandola “Vita da ricchi a Manhattan” – ché questo abbiamo visto, intorno al mistero da svelare (ribadito dal titolo-aiutino italiano, “Le verità non dette”: sarebbe stato troppo complicato svelare che “Undoing” vuol dire annullamento, anche nel senso di una cosa fatta e disconosciuta).

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Prodotto da Hbo (in Italia va su Sky Atlantic, Sky on demand e Now Tv) “The Undoing” è il guilty pleasure migliore attualmente in circolazione. Non soltanto per le splendide case affacciate su Central Park, dove Nicole Kidman passeggia sfoggiando cappotti da sballo. Non solo per la scuola esclusiva, con tanto di divisa, dove i genitori per cominciare la raccolta fondi mettono all’asta un bicchiere d’acqua. In una casa dove si dice ci siano due quadri di Hockney: una mamma li ha visti, ma lo spettatore no, i diritti delle opere d’arte celebri costano troppo anche per Hbo (cose che succedevano al cinema, una volta: esiste almeno un film su Bacon e un altro su Picasso dove i quadri vengono solo evocati o sommariamente schizzati). “The Undoing” è un guilty pleasure che invita alla visione compulsiva.

 

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David E. Kelley (aveva sceneggiato anche “Big Little Lies”, se l’avete vista riconoscerete la mano) ha seguito le regole. Ogni episodio finisce con un “cliffhanger”, che in origine voleva dire “stare attaccati con le mani sull’orlo del dirupo, o scogliera che sia” (poi il cattivo arriva e ti schiaccia le già sofferenti dita delle mani). Non l’ha inventato uno sceneggiatore, bensì un romanziere che si chiama Thomas Hardy, nel romanzo – uscito a puntate tra il 1872 e il 1873 – “Un paio di occhi azzurri”. Ogni episodio di “The Undoing” ha il suo bel rivolgimento nel finale, rivela cose che non sapevamo, rimescola le carte in tavola. Tiene lo spettatore attaccato allo schermo. Non come certe serie che sulle piattaforme partono lente, tanto non c’è nessuno a contare gli spettatori per decretarne il successo (il modello di business è così cambiato, e accelerato, che una volta si giravano i pilot prima di decidere se dare il via a una serie, e certo non era il caso di rischiare con artistici indugi). Gli spettatori sono stati in effetti contati, al debutto americano, e il successo è stato notevole, paragonabile al primo episodio di “Game of Thrones”. Materia ce n’è. Una famiglia più che benestante (non male neanche la casetta sulla spiaggia) che sembra magnificamente assortita e felice, e viene travolta da un brutale omicidio. Lei fa la psicoterapeuta a cifre che richiedono l’accensione di un mutuo – chissà se scrive il nome dei generosi pazienti sui cappottini sfoggiati via via, in tutti i colori autunnali: “courtesy of”. Lui fa l’oncologo pediatrico con servizio di clownerie destinato ai piccoli pazienti. Sembra che sia lei a comandare, e non si scompone neppure alla notizia che la vittima aveva un figlio alla stessa prestigiosa scuola del suo (borsa di studio, a tratti pare di sentire un monito sui poveri che non devono mischiarsi con i ricchi). E che il marito è nella lista dei sospettati.

 

Dirige Susanne Bier, regista danese che per la Bbc aveva già al suo attivo la serie “The Night Manager”, tratta da John le Carré con Olivia Colman e Hugh Laurie. Dal suo posto di comando gode di ogni inquadratura, e ogni battuta pronunciata da John Sutherland, padre dell’aggiusta-matrimoni che si ritrova con la propria coppia in via di sgretolamento. L’intrigo ha prodotto su internet una serie di ipotesi sul colpevole. Non tutte rispettose del copione di David E. Kelley, evidentemente alla trama sono state dedicate meno cure che al guardaroba e ai riccioli a cavatappo di Nicole Kidman, mai così rossa dal thriller marinaro “Ore 10: calma piatta”.

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