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L'intervista

Marco Frittella, l'anti-Giletti di Unomattina

Michele Masneri

Democristiano, anzi moroteo. Inventò Linea verde, è la force tranquille di Rai Uno 

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Più che filo rosso, linea verde. Marco Frittella, a lungo al Tg ammiraglio, l’uno, ora conduce Unomattina, la tv defatigante dell’alba (soprattutto per chi la fa). Ha tenuto insieme quarant’anni di Rai, ha attraversato prima, seconda e terza repubblica, è sempre lì: e ha prodotto pure un libro, adesso, sull’Italia delle imprese “green” cioè ecologiche, economia circolare e dintorni. Ma il prodotto sopraffino dell’economia (politica) circolare è lui: cominciato nel 1979 con Linea Verde, attraversato la radio col Gr2, poi Tg1, e adesso eccolo qua.

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Più che filo rosso, linea verde. Marco Frittella, a lungo al Tg ammiraglio, l’uno, ora conduce Unomattina, la tv defatigante dell’alba (soprattutto per chi la fa). Ha tenuto insieme quarant’anni di Rai, ha attraversato prima, seconda e terza repubblica, è sempre lì: e ha prodotto pure un libro, adesso, sull’Italia delle imprese “green” cioè ecologiche, economia circolare e dintorni. Ma il prodotto sopraffino dell’economia (politica) circolare è lui: cominciato nel 1979 con Linea Verde, attraversato la radio col Gr2, poi Tg1, e adesso eccolo qua.

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Siamo sotto l’acquazzone e un cielo grigio piombo in uno dei bar intorno a viale Mazzini nella Roma livida, si sta come d’autunno i fogli dei dpcm. Frittella, sessantadue anni, grigio anche lui, come il cielo, mi dicono. E’ la force tranquille della Rai, è il conduttore non urlato, è l’anti-Giletti. “Un democristianone”, mi riferiscono. Mi aspetta al tavolino, io sono in micidiale ritardo dovuto alla bomba d’acqua e lui è lì buono buono che scrive su dei fogli. Accanto a noi una signora tutta rifatta urla nel telefono: “Mi hanno mandato in onda con un ritardo di sei minuti, capisci?!”, e poi protesta contro degli uffici stampa e dei complotti ad altissimo livello (i bar attorno alla Rai sono un parco a tema della mitomania, dovrebbero essere patrimonio Unesco). Non capiamo chi sia, la signora, mentre lui, volto storico della tv di Stato, non ne viene riconosciuto nonostante stia in video da quattro decadi. Sarà grigio ma ha un’aria giovane ed energica.

 

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Economia circolare. Adesso ha scritto questo libro, “Italia green. Mappa delle eccellenze italiane nell’economia verde”, edizioni Rai, e del resto lui ha un passato agricolo, avendo iniziato la carriera in Rai proprio con Linea Verde, quando non osava ancora pronunciare il suo nome. “Era il ‘79, stavo a Roma, avevo vent’anni, cercavo lavoro, un amico che lavorava a Agricoltura domani – si chiamava così, mi chiese se volevo fare l’autore dei testi. Non sapevo assolutamente nulla di agricoltura, e parve giusto metterci dentro un po’ di natura, e di ecologia. Una cosa che non piacque per niente: in quegli anni la parola ecologia evocava solo pericolosi fricchettoni. Il mondo agricolo si ribellò, loro facevano dei convegni tipo ‘Il trattore oggi e domani’, e volevano che quel mondo rimanesse così”, un mondo di maschi diserbanti e carri ribaltabili, “ma Arcangelo Lobianco, allora presidente della Coldiretti, ci appoggiò, lo lanciammo e gli cambiammo nome. Il nome lo inventai io dopo lunghe chiacchierate con Claudio G. Fava, lui stava nella stanza accanto e si annoiava. Io facevo il notiziario agricolo; i prezzi delle farine e del grano, le quote latte, cose così. Fu un successo pazzesco, nonostante il traino scarsissimo: si veniva infatti dopo la Santa Messa”. Un destino, per il figlio dell’edicolante della stazione di Ancona, che nello Scudo Crociato ha trovato la via:  “Nato moroteo, morirò moroteo. Cresciuto sulle ginocchia di Leopoldo Elia, senatore di Fano”.

 

“Le Marche”, vagheggia, “erano uno sterminato territorio forlaniano, tranne un piccolissimo punto sulla cartina che era Fano, con un sindaco amico di Moro. Una volta andiamo alla conferenza organizzativa nazionale della Dc presieduta da Moro, con questo sindaco, che mi dice: adesso parli tu. Il giovane Frittella emozionato fa il suo speech e alla fine Moro gli dà la mano, mano “che non lavo per una settimana”. E  cosa le disse? “Mi disse: auguri”. E basta. Non erano molto calorosi questi DC. “Era un mondo così. Un basso profilo un po’ bigotto. L’appartamento di Moro a Roma al quartiere Trionfale era una casa medioborghese. E del resto Andreotti non fece mai l’investimento di mettere l’aria condizionata nell’appartamento romano”. Quella dell’aria condizionata dev’essere una mania molto Dc, perché l’anno scorso andando a Terracina sulle orme dello statista poi ucciso dalle Br, sulla famosa spiaggia in cui usava abbronzarsi col cappotto (e da cui i raffronti col Papeete dell’oggi), mi raccontarono che mai, proprio mai, Moro tollerava l’aria condizionata. “Questi democristiani erano come nei film che li raffiguravano, come nel Moralista di Tognazzi”, ammette Frittella, a bassa voce, composto, ma non pretesco. “Ciò che contava era il potere, non certo il denaro: e l’esibizione di questo era vista assai male. Pensa che quando Toni Bisaglia (all’epoca potentissimo Dc) muore affogato a Portofino cadendo in mare dallo yacht della fidanzata, la miliardaria torinese Romilda Bollati, il Popolo, il giornale della Dc, si sentì in dovere di scrivere che Bisaglia si trovava lì in esplorazione, perché in tutta la sua vita non aveva mai visto Portofino”. E il Divo? E Andreotti? “Chiunque abbia conosciuto Andreotti si ribella. Una caricatura ridicola, quel film. E se il giudizio storico naturalmente rimane controverso, il personaggio era affascinantissimo. A un certo punto dovevo fare la pubblicazione degli atti di un convegno di politica estera”. Perché Frittella, dopo il notiziario agricolo, nell’82, ventenne, era andato a fare il capo ufficio stampa del gruppo alla Camera (“duecentosessanta deputati. Segretario De Mita. Anni gloriosi”); “e metto insieme tutti i contributi tranne quello di Andreotti, ed era impossibile trascrivere quel testo, perché i suoi discorsi erano notoriamente circolari: cominciava poi tornava indietro e non li finiva, e dunque per renderlo comprensibile ci doveva mettere le mani lui o qualcuno per lui. Chiamai la storica segretaria, la signora Enea, e quella mi disse: beh la prossima volta che vede l’onorevole in transatlantico glielo dica. Alla fine mi faccio coraggio, lo fermo, lui mi dice, sì, glielo mando. Passa un anno, lui diventa prima ministro degli Esteri, poi presidente del Consiglio, lo ritrovo in Transatlantico mentre beve una tazza di brodo (lui a pranzo se stava a Montecitorio prendeva sempre una tazza di brodo, e un toast). E appena mi vede mi fa: ‘Gli atti! Ha ragione!’. Si ricordava sempre tutto. 

 

Era quel mondo lì, e la Dc era quella cosa da Wes Anderson della parrocchia, finché “non arrivarono gli anni Ottanta e gli Sbardella”. E poi arrivò il pazzo del Quirinale. Frittella diventa quirinalista, al giornale radio. “Testimone del primo atto di pazzia, se così vogliamo chiamarla, di Francesco Cossiga”, il joker della Repubblica di cui quest’anno ricorre il decennale della morte. “Devi sapere che quello del quirinalista, prima di Cossiga era un mestiere molto tranquillo. Mestiere di grande prestigio e di tutto riposo. Di qui a un anno tu sapevi esattamente cosa sarebbe successo, bastava seguire l’agenda della presidenza: era tutto già scritto e prevedibile. Così Cossiga, siamo a Londra, va a vedere una mostra di pittura italiana al Victoria & Albert Museum. A un certo punto però comincia a parlar male del Consiglio superiore della magistratura, dicendo che bisogna mandare i Carabinieri. Era la prima volta in assoluto che un presidente diceva quelle cose. Noi avevamo un quirinalista all’epoca che si chiamava Fazio Maria Ripari, nome fantastico. Fazio Maria aveva chiuso il suo pezzo il giorno prima, dicendo che il presidente si era recato a visitare una mostra sul genio italiano, eccetera”. I pezzi sui presidenti si facevano il giorno prima. “Salvo che il mattino dopo i giornali avevano tutti titoli in prima pagina sull’exploit cossighiano. Fazio Maria Ripari viene cacciato e io vengo messo al suo posto. Da quel giorno comincia il mitico mondo di Cossiga. E il quirinalista diventa un lavoro usurante. “Lui parlava per un’ora, e poi da una bobina enorme dovevi tirare fuori due, tre minuti di pezzo. Ma lui in un’ora aveva sparato contro: il segretario della Dc, contro il ministro degli Esteri, il presidente del Consiglio”.  

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E’ stato fatto cavaliere anche lei? “Sì, certo”. Todos caballeros: perché a un certo punto Cossiga fece cavalieri tutti i giornalisti del suo seguito, ma prima  le signore, “e nacque tutta una serie di pettegolezzi”. Hai tutto, la rosetta, e la stella, da cavaliere? “No, solo il diploma”, dice Frittella. “Perché lo sai che devi comprarle”. Come comprarle? “Sì, il Quirinale ti dà solo la pergamena, poi ti danno un certificato e tu con quello vai a un negozio di onorificenze che sta a via del Corso, vicino alla galleria Colonna, e le compri”. Ce l’ho ben presente, un negozietto che ha in vetrina stelle e medaglie e decorazioni di ogni ordine cavalleresco, pensavo che ci andasse chi voleva comprarsi un’onorificenza antica, o una da mettere a carnevale. “No, no, sono quelle vere. Tu vai lì col certificato e le compri”. Un voucher per la decorazione, insomma. “Che poi ai ricevimenti al Quirinale sei tenuto a indossare tutto, la rosetta al bavero, e la stella al collo, nei pranzi più formali”. E ce l’hai, la stella? “No, quella non l’ho mai comprata, costava troppo”.

 

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La vita di e con Cossiga era agra. “Eravamo diventati un carosello: c’era chi se ne approfittava, chi lo sfruculiava: ‘e allora De Mita, e allora questo, e allora quest’altro?’, gli chiedevano, e molte cose uscivano per queste provocazioni. L’ultimo giorno dopo aver dato le dimissioni ci invitò tutti su nell’appartamento privato del Quirinale; mentre i corazzieri portavano via scatoloni di libri, fece portare il Ferrari e brindammo tra gli scatoloni”. E la frittellata? “Ah”, sospira Frittella. “Quella della frittella o frittellata fu una battuta di Demetrio Volcic, mitico direttore del Tg1. Perché nel frattempo,  è il ’93, è approdato al telegiornale. “Un padre, per me. Vuol dire un servizio del telegiornale in cui mettere dentro tutto, e confezionare tutto come un dolce mangiabile, diciamo così. Ecco, questo voleva dire”. Un sottogenere del panino. Un panino gourmet. “No, è diverso. Il panino è il servizio che prevede tre momenti, prima le dichiarazioni di uno della maggioranza, poi in mezzo quelle dell’opposizione, infine chiusura della maggioranza. Una cosa presa a prestito dalla BBC, che però nella versione all’italiana, insomma, non era proprio la stessa cosa”.

 

Gianni Riotta, che fu suo direttore al Tg1, era contrario anche lui al panino, “o al McDonald’s, o all’americana il truth sandwich, con la verità in mezzo. Così misi Frittella a fare la nota politica la sera. Lui studiava e si preparava”, dice al Foglio. Mentre i direttori passano, la frittella resiste. “Volcic fu brutalmente licenziato ai tempi della Moratti, con un fax. Rimase molto male. Uscì con quel fax in mano, mostrandocelo, incredulo. Ma poi mise un annuncio a pagamento sulla Stampa: AAA giornalista vasta esperienza, plurilingue, esperto politica estera offresi. Lo presentai a Martinazzoli che era il segretario della Dc (per dire i tempi, il segretario del primo partito poteva non conoscere il direttore del primo telegiornale). Si piacquero”. Martinazzoli, lo schivo ultimo segretario democristiano, era veramente un tombeur de femmes come si diceva? Pare di sì. Non sembra vera invece la leggenda secondo cui da Brescia, dove viveva, scendesse a Roma in treno e all’altezza di Bologna aggiungessero un misterioso vagone con una signora. “Non l’avrebbe mai fatto. Credo che sia una storia di derivazione gronchiana, cioè nel senso di Gronchi, presidente della Repubblica molto prima: si diceva che il corteo presidenziale, mentre si dirigeva verso la sua Pontedera, si fermasse sotto una certa casa”.

 

Col treno, Martinazzoli invece aveva comunque un rapporto. Di solito andava al cinema al Capranichetta, a piazza Montecitorio, col segretario Bettanini; guardavano il primo tempo di un film e poi andavano alla stazione Termini, e prendevano il notturno per Brescia”. Certo era un mondo stupendo. Tra Wes Anderson e i boy scout. “Il giro di grappa con Martinazzoli era molto ambito”. “In quei convegni democristiani sempre nelle alpi, in posti come Lavarone, il giro di grappa con lui era ambitissimo: era una divinità”. Martinazzoli, Montini, divinità bresciane, terra di scarna emotività e di latifondo riflessivo, a cui Frittella è legato. Scrive infatti di “cultura politica” sul Giornale di Brescia e deve andare a presentare presto il suo libro verde a Castenedolo, ridente - si fa per dire - località della bassa, terra natia di Martinazzoli (e qui ho un aneddoto io: tanti anni fa, la mamma di Aldo Busi, anche lui bresciano, riferì in dialetto che aveva chiamato cercando di Aldo una certa signora Martina Zoli, “ma che us de omm che la ga”, che voce da uomo, che ha). Alla divinità martinazzoliana Frittella dedicò uno dei servizi  del tg a cui è più affezionato, quello dell’ultimo giorno della Dc, quando il segretario dichiarò estinto il partito. “Titolo: Addio, balena bianca”. “L’altro servizio che mi porterò nella tomba, riguarda altre dimissioni, quelle di Cossiga, appunto tra gli scatoloni, e lui che esce a piedi nel cortile del Quirinale tra i corazzieri con la sciabola sguainata”. E Cossiga, riflette Frittella, aveva capito tutto, non solo che sarebbe crollato il Pci, ma anche la Democrazia cristiana e tutto il sistema com’era negli anni Ottanta. “Oggi sembra incredibile, ma allora non lo capiva nessuno, nonostante le frequenti visite dei leader politici a Berlino: io ogni volta dovevo seguirli, e alla fine preferii stabilirmi all’hotel Kempinski, invece che fare avanti indietro, tanto le visite erano continue”. E lì, ha modo di intervistare Walesa, e Willy Brandt. Ma in altri hotel, con Cossiga, in un tour globale y final: “prima di dare le dimissioni sentì l’impellente bisogno di andare a salutare tutti i colleghi capi di Stato all’estero (mentre i colleghi esteri non sentivano questa stessa impellenza”). “Così partimmo per New York, Parigi, Londra, Bruxelles, Mosca, il Cairo, il tutto in una settimana, con brevi pause a Ciampino dove correvamo giù, montavamo i servizi, e risalivamo a bordo. In albergo a New York, però, Cossiga di notte ci telefonava in camera, tutto eccitato perché voleva ancora chiacchierare: e i clienti telefonavano in reception perché a volte sbagliava numero di camera, e parlava con ignari turisti...”. Adesso l’acquazzone è finito, conviene andarsene, la televisiva ignota dell’altro tavolo sta ancora imprecando con l’universo-mondo, e la frittellata alla fine non è indigesta, anzi rimane una gran voglia di congressi Dc, aria d’alpeggio democristiano, e magari anche della Rai di una volta, “ma questo per favore non scriverlo”.

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